Grimoaldo II, settimo Duca di Benevento

“Dopo di lui, per tre anni resse le popolazioni sannite suo figlio Grimoaldo, cui fu data in moglie la sorella di Cuniperto e figlia del re Perctarit, Wigilinda. Morto anche Grimoaldo, fu fatto duca Gisulfo, suo fratello, e governò Benevento per diciasette anni.”1

Non sappiamo quasi nulla del brevissimo Ducato di Grimoaldo II, tranne che il suo fu il matrimonio politico che rinsaldò i rapporti del Ducato di Benevento con la dinastia Bavarese, da poco risalita al trono.

Analizzando le complesse vicende di quegli anni, è lecito pensare che effettivamente fu ben’altro ad attrarre l’interesse dei contemporanei. Benchè ripreso il trono, la dinastia Bavarese era tutt’altro che stabile e l’opposizione Ariana, anche se impoverita notevolmente, aveva ancora la forza di osare un colpo disperato ma efficace.

“Dunque Percatarit, dopo aver regnato da solo per sette anni, nell’ottavo si associò come collega nel regno suo figlio Cuniperto, insieme al quale regnò poi per dieci anni.”

La corte di Pavia non aveva più intenzione di delegare la propria autorità politica ai Duchi e di conseguenza essa stessa delineva il proprio processo ereditario. L’atto di associare il futuro erede al trono non era certo una novità per il regno dei Longobardi, ma di fatto costituiva un atto politico molto forte nei confronti della controparte Ariana e sanciva la continuità della stirpe bavarese, punto di riferimento del “partito cattolico”. Come abbiamo avuto modo di scrivere, la dinastia bavarese cattolica era assolutamente favorevole ad un processo di pacificazione sia con la chiesa di Roma sia con l’Esarcato Bizantino.

Lo scontro fu acceso in ogni settore, sopratutto quello culturale. E’ probabile, come sostiene W. Pohl, che Pertarito e il suo entourage abbiano commissionato la realizzazione dell’opera conosciuta come Origo Gentis Langobardorum, nella quale si evinceva che il lignaggio di Pertarito era superiore a quello del defunto Grimoaldo e di suo figlio Garibaldo.

La memoria storica veniva finalmente trascritta su pergamena; in particolare si metteva in risalto l’elenco dei re, tra i quali spiccava come abbiamo visto Lethuc, capostipite del lignaggio dei Letingi a cui apparteneva Pertarito. Sappiamo da Paolo Diacono che Pertarito poteva contare su diversi consensi, soprattutto nella zona di Asti, centro della dinastia bavarese, così come poteva contare su una discendenza di tutto rispetto: il IV re dei longobardi e la regina Teodolinda erano parentele di massima importanza, specie in una fase di lotta tra cattolicesimo, incarnato appunto dai bavaresi, e arianesimo, di cui Grimoaldo fu l’ultimo rappresentante regio. L’elaborazione dell’Origo rientrava in un piano complessivo di consolidamento del potere Longobardo in chiave cattolica, e si poneva come un collante culturale tra il passato, il presente e il futuro del Regno Longobardo d’Italia.

Naturalmente l’azione contraria dei Duchi ariani non tardò ad arrivare:

E mentre vivevano in grande pace e da ogni parte tutt’intorno godevano di tranquillità, sorse contro di loro il figlio dell’iniquità, Alahis di nome, per causa del quale, turbata la pace, avvennero grandissime stragi di popoli nel regno dei Longobardi.”2

Già in altri passi il Diacono descriveva il ritorno della dinastia cattolica al potere come un ritorno alla pace e alla prosperità. Tralasciano la chiave poltica delle parole del monaco, è assai probabile che la politica di pacificazione di Pertarito fosse riuscita ad incentivare tutta una serie di attività economiche che erano state messe in secondo piano. Molto probabilmente fu in questa fase che prese più forza un tessuto sociale Longobardo urbano dedito all’amministrazione e al commercio, che si discostava notevolmente dall’elites guerriera e militare dei Duchi Ariani. Precisiamo che la nascita di nuovi gruppi sociali provoca sempre degli attriti nell’ordinamento esistente, sopratutto quando questi nuovi gruppi potevano essere usati per supportare un nuovo cambio di rotta politica e religiosa.

Di Alahis sappiamo poco prima che balzasse agli onori della cronaca del Diacono. Duca di Trento e appartenente alla nobiltà Ariana Longobarda fu molto legato a Cuniperto come testimonieranno i fatti successivi.

Costui, essendo duca nella città di Trento, combattè contro il conte dei Bavari – che lo chiamano gravio – che reggeva Bolzano e gli altri castelli e lo superò con una bella vittoria. Per questo, insuperbitosi, levò la mano anche contro il proprio re Percatarit e si ribellò, fortificandosi nel castello di Trento. Perctarit mosse contro di lui, ma, mentre lo assediava da fuori, Alahis d’un tratto uscì inaspettatamente dalla città con i suoi, abbattè gli accampamenti del re e costrinse il re stesso a fuggire.”3

Qui ci vengono rivelate la posizione di Alahis e anche dei tratti della sua personalità, almeno tramite il filtro del Diacono. Curiosamente tutti gli Ariani erano arroganti, belligeranti e pronti all’usurpazione. Tenendo sempre focalizzata l’attenzione sugli scopi politici del Diacono, dobbiamo però prendere nota che gli atteggiamenti militari e guerreschi dell’aristocrazia Longobarda trovavano un terreno ben più fertile all’interno dal credo Ariano. Di fatto sembra che il primo atto di guerra contro i Bavari non fosse stato un capriccio di Alahis, ma un piano volto ad indebolire Pertarito. Infatti la presenza Bavara e l’inconsueto titolo del loro capo, il Gravio4, era molto probabilmente dovuta alle intenzioni della corte di Pavia di rafforzare la loro posizione politica e militare. Ne consegue che la prima mossa degli Ariani non poteva che essere quella di indebolire maggiormente le forze dei Longobardi cattolici.5

Per quanto Paolo Diacono si sia impegnato per dipingere Alahis come un nefandissimo ariano, non può sfuggire al lettore le sue indiscusse doti militari e sopratutto il sostegno di validi guerrieri che egli possedeva.

Tuttavia qualche tempo dopo, per intercessione di Cuniperto, il figlio del re, che già da prima aveva caro, Alahis fu riaccolto nella grazia di Percatarit. Più volte il re aveva pensato di ucciderlo, ma suo figlio Cuniperto si oppose sempre, ritenendo che egli per il resto fosse fedele; e anzi non lasciò in pace il padre finchè non gli concesse anche il ducato di Brescia; benchè il padre spesso gli obiettasse che in questo modo si costruiva la propria rovina, perchè dava al suo nemico le forze per regnare. Infatti nella città di Brescia c’è sempre stato un grande numero di nobili longobardi e Perctarit temeva che con il loro aiuto Alahis sarebbe diventato troppo potente.”6

Non sappiamo esattamente cosa reggesse il profondo affetto che Cuniperto nutriva per Alahis, ma questo legame fu talmente forte da condizionare effettivamente le scelte del principe Longobardo. Oltre tutto l’attribuzione di un secondo ducato nelle mani di un singolo Duca è un evento più unico che raro. E’ molto probabile che lo scopo fosse quello di placare l’animo bellicoso di Alahis provando a porre fine in maniera pacifica al conflitto prima della sua effettiva deflagrazione. La dinastia Bavarese, benché tornata sul trono, non godeva ancora della piena stabilità interna al regno e quindi una tale mossa poteva essere utile al mantenimento della pace. Brescia doveva essere uno dei ducati più ricchi e influenti sul piano economico, come dimostrano anche le stesse parole del Diacono, che presenta la città come abitata da molti nobili. I timori di Pertarito dimostrano come proprio nell’elemento nobile-aristocratico risiedessero i nemici più accaniti della corona.

Proprio durante il governo di Grimoaldo II nel Ducato di Benevento, nel 688, dopo diciotto anni di regno Pertarito moriva, le sue spoglie furono sepolte presso la Basilica del Salvatore. Nello stesso anno Cuniperto saliva al trono come nuovo re del regno dei Longobardi.

“Ma Alahis,dando la alla luce l’iniquità da gran tempo concepita,dimentico dei tanti benefici che aveva ricevuto dal re Cuniperto, dimentico anche del giuramento che gli aveva prestato di essergli fedelissimo, con l’aiuto di Aldo e Grauso, cittadini di Brescia, ma anche di molti altri Longobardi, si impadronì del regno e del palazzo di Ticino, approfittando di una assenza di Cuniperto.”7

Interessante come Alahis venga sempre definito “iniquo” quasi un tratto distintivo che aveva lo scopo di creare un immagine di questo duca nella mente e sopratutto nei cuori dei lettori. Anche la menzione del giuramento sembrerebbe essere un evento unico legato esclusivamente a questa particolare vicenda. Era evidente che Cuniperto aveva fatto appello a diversi espedienti per evitare la guerra, ricorrendo anche all’elemento sacro del giuramento. Occorre sottolineare come il giuramento, per i longobardi, fosse l’atto più sacro che poteva compiersi, come dimostrato dalle leggi, che lo prevedono come soluzione alle controversie giudiziarie in alternativa al duello, per cui la persona che spergiura è in sostanza un “senza Dio”.

Nel racconto compaiono Aldo e Grauso, due fratelli della nobiltà Bresciana. Anche qui è interessante notare come Diacono ci tenga specificare che fossero cittadini di Brescia, non semplici nobili dunque, ma l’espressione diretta della nobiltà cittadina. Essi, molto probabilmente ariani, diedero le risorse necessarie ad Alahis per compiere l’ennesimo colpo di stato Ariano.

Cuniperto fuggì nell’isola del lago Lario non lontano da Como e incominciò a richiamare i suoi partigiani per preparare il contrattacco.

Mentre nella Pavia governata da Alahis si susseguiva una feroce oppressione dei chierici e degli ecclesiastici, accade un evento particolare che Paolo Diacono descrive nei minimi dettagli:

“Infatti, mentre Alahis se ne stava a contare delle monete su di un tavolo, un tremisse gli cadde a terra e il figlio di Aldo, che era ancora un bambino, lo raccolse e glielo restituì. Nell’illusione che il bambino non capisse, Alahis gli fece: <Molti ne ha di questi tuo padre e, se Dio vuole, presto me li darà.> Quando a sera il bambino tornò a casa dal padre, questi gli chiese se quel giorno il re gli avesse detto qualcosa e lui gli raccontò tutto quello che era successo e ciò che il re gli aveva detto. A sentire questo, Aldo si spaventò molto e chiamato il fratello Grauso, gli comunicò tutto ciò che il re malignamente aveva detto. Subito si consigliano con gli amici e con quelli di cui si potevano fidare, per vedere come privare il tiranno Alahis del regno prima che potesse far loro del male.”8

L’episodio del tremisse9, dona ancora di più l’immagine di ingiustizia di cui era accusato Alahis. Non possiamo sapere se sia un racconto totalmente inventato, ma è lecito supporre che la memoria orale avesse concepito un simile episodio per rafforzare di più l’elemento antagonista dell’usurpatore ariano, nei confronti del legittimo erede cattolico. E assai probabile che la politica di Alahis, benchè sostenuta dai nobili, fosse apertamente osteggiata da altre fasce della popolazione italica e Longobarda e sopratutto dalle fare cattoliche. Il cambio di rotta dei nobili bresciani dovette tenere conto anche di questa situazione, per cui l’appoggio ad un usurpatore “tirannico” non dovette sembrare più un buon affare. Con un inganno i due fratelli fecero allontanare Alahis e subito si diressero da Cuniperto e, dopo essere stati perdonati ed aver giurato di servirlo, si apprestarono ad elaborare un piano per far tornare il legittimo erede a Pavia. Non sappiamo gli eventi effettivi, ma sta di fatto che molto rapidamente Cuniperto rientrò nella capitale e riassunse il controllo con estrema facilità, segno che la “tirannia” di Alahis era sostenuta solo ed esclusivamente dal denaro dei due fratelli Bresciani.

“Sentendo la notizia, Alahis rimase costernato e, furibondo e digrignando i denti, scagliò molte minacce contro Aldo e Grauso; poi, mossosi di lì, tornò nell’Austria attraverso Piacenza e legò a sé le singole città, in parte con le promesse, in parte con la forza. Infatti quando arrivò a Vicenza, i cittadini uscirono contro di lui e si prepararono alla battaglia; ma, presto vinti, divennero suoi alleati. Partito di lì, occupò Treviso e allo stesso modo anche le altre città. E mentre Cuniperto raccoglieva l’esercito contro di lui e i Friulani, secondo la propria fedeltà ,si stavano recando in suo aiuto, Alahis si nascose nella selva detta Capulano, presso il ponte sulla Livenza, che dista quarantotto miglia da Cividale ed è sulla strada per andare a Ticino, e costrinse tutti loro, man mano che venivano – dato che l’esercito friulano procedeva in ordine sparso-, a giurare per lui, badando bene che nessuno di loro tornasse indietro ad avvertire gli altri. Così tutti quelli che venivano da Cividale si trovarono legati a lui da giuramento.”10

Pur conoscendo la valenza sacra del giuramento, ci riesce difficile comprendere gli eventi descritti dal Diacono. Che la forza militare di Alahis fosse tale da piegare talune città è plausibile, ma l’episodio dell’esercito friulano ci lasca perplessi. Più che avanzare in ordine sparso, è più plausibile che il luogo dell’appostamento di Alahis fosse il ritrovo dell’esercito del Friuli e che i gruppi fossero i vari armati che affluivano dai territori circostanti Cividale. Ancora più plausibile non doveva regnare la concordia tra i Friulani su chi appoggiare, per cui la presenza di Alahis dovette essere sì un fattore determinante per questa scelta, ma non la causa principale. In oltre risulterebbe troppo facile credere alla narrazione di un tiranno che costringe i Longobardi a seguirlo, un probabilità più concreta doveva essere che in Austria risiedessero molti più partigiani Ariani.

Assemblati i rispettivi eserciti, le armate si incontrarono nel campo di Coronate sull’Adda.

Prima dello scontro, Cuniperto inviò un messaggero ad Alahis, sfidandolo a duello per evitare un bagno di sangue . Tuttavia Alahis godeva della superiorità numerica e in oltre Cuniperto, definito da Alahis come uno stupido ubriacone ma audace e forte, era un guerriero formidabile, tanto che da giovane riusciva a tirare su un montone per la schiena senza piegare il braccio. Il diniego del duello suscitò la defezione di alcuni nobili, probabilmente gli indecisi e gettò comunque una cattiva ombra sull’esercito. Nel frattempo nel campo di Cuniperto si allestivano i preparativi per la battaglia ed è qui che accadde un fatto assai interessante:

“E quando erano vicini e prossimi a scontrarsi, Seno, diacono della chiesa ticinese, che era custode della basilica di San Giovanni Battista nella stessa città (quella fatta costruire a suo tempo dalla regina Gundiperga), poichè amava molto il re e temeva che potesse morire in battaglia, gli disse : <Mio signore, re, la vita di ognuno di noi sta nella tua salvezza; se tu muori in guerra, il tiranno Alahis ci ucciderà tutti tra supplizi, Ti piaccia perciò il mio consiglio. Dai a me la tua armatura e io andrò e combatterò contro questo tiranno. Se io morirò, tu potrai risollevare la tua causa; se invece vincerò, verrà a te maggior gloria dall’aver vinto per mezzo di un servo>”.11

Un tale episodio sembrerebbe preso dalla conoscenza classica a cui siamo sicuri Paolo Diacono era avvezzo, essendo molto simile all’episodio di Patroclo che andò in guerra con l’armatura di Achille. Il buon Seno seguì la stessa sorte del giovane Patroclo.

Quando infuriò lo scontro, Alahis si scagliò là dove era presente Cuniperto/Seno, rotte le fila cattoliche si accanì sul diacono uccidendolo. Ma quando ordinò di tagliargli la testa e di innalzarla su di una lancia, si rese conto di aver ucciso un chierico. Lo stesso Diacono scrive che preso dalla rabbia e dall’amarezza, Alahis giurò a Dio che avrebbe riempito un pozzo con i testicoli dei preti, se egli gli avesse concesso la vittoria. Nel frattempo Cuniperto emerse tra le fila infervorando gli animi, a quel punto la battaglia cessò brevemente e le due armate si separarono.

Durante questa divisione, Cunipertò sfidò nuovamente a duello Alahis, tuttavia quest’ultimo rifiutò di combattere, affermando di aver visto,  tra le lance dello schieramento di Cuniperto, l’immagine dell’arcangelo Michele, a cui aveva giurato fedeltà nella sua chiesa. Pare che uno dei guerrieri di Alahis lo accusò di vedere l’immagine dell’arcangelo solo ed esclusivamente sotto l’effetto della paura.

Lo scontro riprese accanito e feroce, tuttavia l’esercito ariano era fiaccato e demoralizzato, per cui Cuniperto ebbe facilmente ragione degli avversari. Diacono non dice che fu il principe ad uccidere l’usurpatore, ma che Alahis morì nello scontro e la sua morte provocò lo sbandamento del suo intero esercito, dando la vittoria all’armata cattolica.

“La testa di Alahis fu mozzata e le gambe spezzate e di lui rimase solo un cadavere tronco e informe.”12

Lo smembramento di Alahis dovette servire da monito ai futuri usurpatori, oltre tutto determinati atti come la mutilazione del corpo erano riservati agli eretici, quindi un monito a tutti gli ariani. L’esercito ariano andò in pezzi, martoriano dall’assalto dei guerrieri di Cuniperto. Va detto che nella cronaca del Diacono è scrito che i Friulani non combatterono. Benchè costretti da Alahis, essi non parteciparono effettivamente allo scontro, tenendosi sostanzialmente neutrali.

Nel 689 a Coronate, si concluse definitivamente lo scontro tra cattolici ed ariani, a totale trionfo dei primi. Cuniperto tornò trionfante a Pavia, come re e nuovo rifondatore del regno Longobardo Cattolico d’Italia.

Per rimarcare la sua vittoria, Cuniperto coniò una moneta con l’effige di San Michele, il santo che era “apparso” ad Alahis durante la battaglia e che iniziava a costituire un punto di riferimento importante per la nobiltà guerriera longobarda che faceva parte del “partito cattolico”. Dipinto come santo guerriero e rappresentato in armi, San Michele aveva sostituito Wodan/Odino nell’immaginario collettivo dell’aristocrazia militare longobarda cattolica. La moneta in questione presenta nel recto San Michele Arcangelo alato, con una lunga veste, uno scudo rotondo e un’asta con una croce finale.

La coniatura di questa moneta, secondo Ermanno Arslan13, considerato il massimo esperto di numismatica longobarda, rappresenta una vera e propria “riforma monetaria”, ovvero un cambiamento nello stile della moneta regale. Secondo Arslan, questa riforma fu dovuta proprio al fatto che Cuniperto era stato tenuto come “ostaggio” a Benevento per molti anni, ovvero fino a quando non venne “liberato” in seguito alla morte del Re Grimoaldo. Come sappiamo, infatti, durante il colpo di Stato di Grimoaldo, in seguito alla fuga di Pertarito presso i Franchi, il nuovo Re e contemporaneamente Duca di Benevento, sequestra tutta la sua famiglia, quindi anche suo figlio Cuniperto, e la manda a Benevento, dove ha lasciato sul trono ducale il figlio Romualdo. Lo stesso Grimoaldo II, come accennato, sposerà la sorella di Cuniperto, Vigilinda, la quale era anche lei “prigioniera” nella capitale del ducato meridionale.

Secondo Arslan, nel ducato di Benevento “la realtà economica e i meccanismi monetari erano largamente influenzati dal vicino mondo bizantino” e nella zecca di Benevento “doveva essersi mantenuta una scuola incisoria di buonissimo livello”. Per cui la spiegazione di questa riforma stilistica va spiegata con il nuovo tipo di rapporto che si era venuto a creare tra la Reggia di Pavia e il Ducato di Benevento: “Le maestranze potrebbero quindi essere giunte proprio da Benevento, o almeno, Cuniperto potrebbe aver provato i primi spunti per la riforma quando era ostaggio a Benevento”.

A questo aggiungiamo che il santuario di San Michele si trovava, appunto, nel Ducato di Benevento, e che la conversione dei longobardi beneventani al cattolicesimo, stando a quanto riferito nella Vita Barbati Episcopi Beneventani, avvenne proprio negli anni in cui Cuniperto è tenuto “ostaggio” nella città sannita. Ovviamente quando parliamo di “ostaggio” non dobbiamo pensare ad una carcerazione della famiglia di Ariperto, ma semplicemente ad un “soggiorno obbligato”, per cui è molto probabile che lo stesso Cuniperto si sia recato presso il santuario, come del resto sembra avesse fatto lo stesso Alahis, ariano, duca di Trento.

La coniatura di questa moneta darà avvio ad una lunga tradizione che vedrà la raffigurazione dell’arcangelo Michele nel recto delle monete coniate nella zecca di Pavia, a testimonianza del fatto che dopo la battaglia di Coronate sull’Adda, il partito ariano era destinato a scomparire di fronte ad una crescente adesione di massa al culto cattolico, adesione che nasceva anche grazie alla possibilità di continuare ad esaltare le doti guerriere che la presenza del santo soldato garantiva. Come vedremo tra poco, il culto di San Michele era in piena diffusione in tutta Italia e i Re longobardi non si fecero sfuggire l’occasione di utilizzarlo come collante sociale per rinsaldare la frattura, ormai quasi secolare, tra il partito cattolico, propenso a mantenere uno status di pace con gli stati confinanti, ed il partito cosiddetto “ariano”, che non era disposto a rinunciare alla componente “militare” e bellicosa dell’aristocrazia nobiliare longobarda. La figura dell’Arcangelo in armi, servì a far sì che anche i longobardi più bellicosi potessero diventare cattolici senza per questo rinunciare all’esaltazione delle armi.

Come abbiamo accennato, nel 687 alla morte di Romualdo, l’assemblea dei beneventani elegge Duca suo figlio Grimoaldo II, il quale governa soltanto tre anni e continua la politica di espansione a danno dei bizantini iniziata dal padre, grazie al quale la Puglia era stata ormai inserita nei possedimenti e nelle attenzioni del Ducato di Benevento.

Grimoaldo II era il primo duca beneventano ad essere stato battezzato secondo rito cattolico fin da bambino e senza dubbio subiva l’influenza di sua madre Teuderada, considerata spesso come “la Teodolinda del Sud” per via della sua opera di diffusione del cattolicesimo tra i longobardi meridionali. Il suo essere cattolico favorirà il suo matrimonio con Vigilinda, la figlia del Re Pertarito e sorella di Cuniperto, che in un certo senso rappresentavano, all’interno dell’aristocrazia longobarda, il “partito cattolico”, che si opponeva al “partito ariano” il cui ultimo rappresentante reale era stato proprio suo nonno Grimoaldo. Tale matrimonio rispondeva all’esigenza di arrivare ad una pacificazione duratura tra le due famiglie e soprattutto tra il Ducato di Benevento e il Regno di Pavia, onde evitare una riproposizione dell’episodio del colpo di stato di Grimoaldo. Facendo sposare sua figlia al duca beneventano, il nuovo Re Pertarito si assicurava la fedeltà del nipote di colui che per poco non era riuscito ad ucciderlo e che lo aveva costretto ad un lungo esilio. Nel tentativo di limitare l’autonomia del ducato con questa unione politica, però, al tempo stesso, il Regno di Pavia riconosceva come il Ducato di Benevento fosse un’entità politica a sé stante, per nulla sottoposta al potere centrale, per cui il Re, invece di spodestare il Duca per sostituirlo con un suo fidato, o di muovergli guerra, come di solito succedeva nel caso dei rapporti conflittuali tra Reggia di Pavia e ducati settentrionali, preferisce allearsi in maniera stabile con la dinastia che regge il Ducato beneventano, al fine di neutralizzare ogni minaccia futura per il trono regale. Che il matrimonio fosse in sostanza tra due centri di potere quasi alla pari lo si capisce anche dal fatto che nelle successive battaglie per il trono tra Alachis e Cuniperto, fratello della moglie del duca beneventano, non vi è nessun tipo di coinvolgimento da parte dei longobardi meridionali. Se invece il rapporto tra i due centri di potere fosse stato di natura “vassallatica”, il Duca Grimoaldo II avrebbe dovuto correre con il suo esercito a sostegno del suo Re.

Cresciuto con l’esempio di sua madre Teuderada, la cattolicissima figlia del duca del Friuli Lupo, anche Grimoaldo II si darà da fare per procedere ad una cattolicizzazione del ducato mediante la costruzione di chiese. A questo proposito è significativo il fatto che alcune chiese pugliesi siano state costruite secondo il modello della piccola chiesa di Sant’Ilario a Port’aurea di Benevento, ubicata poco fuori le mura della città, a circa cento metri dall’Arco di Traiano, che veniva chiamato appunto “Port’Aurea” per via della grande quantità di oro che lo adornava. Essendo stato inglobato nelle mura cittadine già durante la guerra greco-gotica, l’Arco aveva assunto la funzione di Porta di ingresso alla città per chi giungeva proprio dalla Puglia. Secondo diverse fonti14, la costruzione della chiesa di Sant’Ilario venne finanziata proprio dalla duchessa Teuderda, la madre di Grimoaldo II.

Secondo la professoressa Gioia Bertelli15, alcune chiese pugliesi, in particolare la chiesetta di Sant’Apollinare presso Rutigliano, la chiesa di San Pietro Mandurino a Manduria, la chiesa del Santo Salvatore a Monte Sant’Angelo, la Chiesa della Madonna di Gallara a Oria e la chiesa di San Pietro a Crepacore presso Torre Santa Susanna, presentano elementi direttamente riconducibili al prototipo della Chiesetta di Sant’Ilario a Benevento, a partire dalla soluzione costruttiva: pianta quadrata o rettangolare, e copertura con cupole in asse, utilizzo di grossi blocchi di pietra proveniente dallo spoglio di precedenti edifici romani, piccola abside. Una di queste chiese, quella di San Pietro a Crepacore presenta anche degli affreschi, di certo più tardi rispetto alla seconda metà del VII secolo, che rimandano direttamente agli affreschi della produzione artistica longobarda beneventana.

In sostanza la conquista longobarda delle Puglie, anche se talvolta viene presentata come feroce e violenta, avveniva invece anche e soprattutto mediante la “conquista” pacifica delle diocesi esistenti, proprio grazie all’opera di Teuderada, la quale contribuisce economicamente al restauro o all’allargamento delle prime chiese paloeocristiane pugliesi, contribuendo alla cristallizzazione del culto in tutta l’area pugliese di alcuni santi come San Sabino, San Leucio, San Lorenzo, e soprattutto San Michele.

Non dobbiamo nemmeno dimenticare che il padre di Grimoaldo II, ovvero il Duca Romualdo, aveva restaurato il Santuario di San Michele Arcangelo, intervenendo massicciamente sulla costruzione precedente per allargare gli spazi e rimuovere le parti di roccia più aggettanti, dotando la struttura di un ingresso monumentale. Come afferma il professore Giorgio Otranto, “la ristrutturazione voluta da Romualdo I comportò l’abbattimento di alcune pareti rocciose di ostacolo alla circolazione, la sistemazione di due lunghe scale (una “dritta” ed una “tortuosa”) per il flusso e il deflusso dei pellegrini e la creazione di posti di accoglienza e ricovero, traa i quali una lunga galleria, che doveva fungere da hospitium e nella quale si accedeva, da ovest, da un ingresso riconosciuto, appunto, come longobardo per via delle tante iscrizioni graffite sui conci della navata16”. L’iscrizione recita “de donis dei et sancti archangeli fiere iusse et donativ Romuald dux agere pietate Gaidemari fecit”, che oggi può essere tradotta con: “Spinto dalla devozione e per ringraziamento a Dio e al Santo Arcangelo, il duca Romualdo volle che si realizzasse e finanziò (l’opera) Gaidemario la fece”.

Per necessitare di un simile intervento, il santuario doveva essere molto frequentato da molti pellegrini, il cui numero tendeva costantemente a salire, come dimostrato dal fatto che proprio negli anni del ducato di Grimoaldo II abbiamo la coniatura della moneta di Cuniperto che reca nel recto l’immagine di San Michele Arcangelo. Il costo dell’opera è stato senza dubbio notevole, e non possiamo credere che il motivo sia stato solo la devozione del duca Romualdo, da poco convertito al cristianesimo, a quanto sostiene la Vita Barbati Episcopi Beneventani. La presenza di pellegrini che provenivano da ogni dove, doveva avere anche dei riflessi economici e politici. Un gran flusso di persone significa anche gran flusso di merci e ricchezze, la maggior parte delle quali finiva nel “tesoro dell’Arcangelo”, come abbiamo visto precedentemente con il caso di Santa Artellaide, la quale dona 300 monete d’oro al santuario almeno un secolo prima del restauro da parte di Romualdo. Per questo non dobbiamo meravigliarci se Romualdo acconsentì immediatamente alla richiesta da parte del Vescovo Barbato di accorpare la diocesi di Siponto a quella della capitale Benevento. In quel periodo il Santuario era già diventata la principale meta di pellegrinaggio cristiano d’Italia e di gran parte del mediterraneo cattolico. Occorre a questo punto ricordare che il motivo principale dei pellegrinaggi era quello taumaturgico: nella grotta sgorgava un’acqua miracolosa che aveva il potere di guarire i fedeli, come è scritto nel Liber de Apparitione Sancti Michaelis in Monte Gargano.

Inoltre, incidere il proprio nome come committente della grandiosa opera di restauro significava per il Duca beneventano sottolineare il controllo politico e militare sull’area. Non a caso l’iscrizione ci fa capire che i beneventani dovevano “ringraziare” il Santo Arcangelo, e la grazia concessa dal Santo ai longobardi non poteva che essere la vittoria nelle battaglie precedenti svoltesi sul Gargano tra i beneventani e i loro “nemici”, che erano stati dapprima gli Slavi, i quali erano riusciti addirittura ad uccidere il duca Aione, ma che poi erano stati messi in fuga da Radoaldo (lo zio di Romualdo), e poi dei non meglio identificati predoni “greci”, sgominati dal duca Grimoaldo (il padre di Romualdo). Che questi greci fossero un contingente dell’esercito bizantino appare difficile, almeno a giudicare dal racconto di Paolo Diacono, nostra unica fonte primaria, il quale afferma che questi greci erano giunti presso Siponto con l’obiettivo di “saccheggiare il santuario del Santo”, scatenando la rapida vendetta del duca Grimoaldo.

Come vediamo, quindi, ancora una volta viene evidenziato come il Santuario non avesse soltanto una importanza religiosa, ma anche economica, visto che il suo tesoro doveva essere molto consistente per scomodare dei pirati bizantini. L’importanza religiosa, economica e politica che il santuario andava assumendo col passare degli anni, amplificata dalla conversione al cattolicesimo dei longobardi beneventani, doveva costituire motivo di “cambio di prospettiva” per i duchi meridionali, i quali, infatti, da questo momento spostano le proprie attenzioni politiche dalla Campania alla Puglia. Se negli anni precedenti, infatti, abbiamo registrato più di un tentativo di conquistare città campane (ultima tra tutte Sorrento, importante porto commerciale), adesso vediamo gli eserciti beneventani indirizzarsi sempre di più ad oriente, fino a raggiungere Taranto e Brindisi.

Il Santuario di San Michele, a pochi passi dal porto di Siponto, quindi, doveva essere nelle attenzioni di tutta la classe dirigente beneventana, sia politica che religiosa, ed è per questo che da Romualdo in poi la diocesi di Siponto viene accorpata a quella di Benevento. Ma anche se aveva delle chiare ripercussioni politiche ed economiche, bisogna riconoscere che la motivazione principale delle attenzioni longobarde sull’area derivavano proprio dalla diffusione del culto dell’arcangelo, il quale, presentandosi come un santo guerriero, riuscì a sostituire Odino nell’immaginario collettivo dei longobardi beneventani. Basterà dire che la conquista longobarda del meridione e la conseguente nascita del Ducato di Benevento, secondo la descrizione contenuta nella Chronica Sancti Benedicti Casinensis, venne effettuata in quanto alla guida dell’esercito longobardo vi era proprio San Michele. In particolare la spada che il Santo impugna nella sua immagine più famosa, servì da leva per scardinare le ritrosie dei bellicosi longobardi meridionali, facendo breccia nelle loro menti e consentendo una rapida sostituzione del Dio guerriero ancenstrale con il Santo che li aveva guidati nelle battaglie recenti. Inoltre i longobardi accentuarono il carattere “militare” del santo, facendo cadere in secondo piano il carattere “taumaturgico” del culto e del pellegrinaggio. Come sostiene il professore Otranto, “il rapporto tra i Longobardi, da una parte, e san Michele e il santuario garganico, dall’altra, è tra i più intensi e significativi che si siano stabiliti in epoca altomedievale tra un santo, un luogo di culto e una dinastia, al punto che l’Arcangelo e la grotta garganica assursero rispettivamente al ruolo di patrono e santuario nazionale dei Longobardi. Tale rapporto ha profondamente influito sulla fortuna del culto micaelico in Occidente, incrementandone la conoscenza, soprattutto tra le popolazioni di matrice germanica, e accentuando la caratterizzazione guerriera dell’Arcangelo. Quando giunse sul Gargano, infatti quello micaelico era un culto essenzialmente iatrico: i Longobardi, popolo di guerrieri per eccellenza, contribuirono a far recuperare al Santo la dimensione di capo delle milìzie celesti, che ne faceva un guerriero, patrono dei combattenti. Ma se è vero che i Longobardi hanno in parte mutato la connotazione del culto per l’Angelo, è altrettanto vero che questo ha esercitato una sicura influenza sulla loro identità religiosa, contribuendo alla loro conversione al cattolicesimo prima a Benevento e poi a Pavia17.”

Al fine di comprendere meglio il contesto in cui opera il Duca Grimoaldo II, bisogna mettere in evidenza, come accennato, che durante il suo governo è ancora viva sua madre Teuderada, la quale è da più fonti citata come profondamente cattolica ed impegnata nell’opera di diffusione del rito cattolico e della riscoperta dei santi meridionali. Teuderada infatti morirà nel 706 e senza dubbio continuerà ad avere un ruolo di primaria importanza anche durante il ducato dei suoi figli.

Secondo Paolo Diacono, come detto, Teuderada fece costruire il monastero e la chiesa di San Pietro a Benevento e secondo il Chronicon Volturnense fece erigere i monasteri di Santa Maria in Locosano e Santa Maria in Castagneto, oltre alla già citata Chiesa di Sant’Ilario a Porta’Aurea a Benevento.

Come accennato, infatti, la longobardizzazione della Puglia avviene solo in minima parte con la forza delle armi: i longobardi beneventani, contribuendo al restauro o alla costruzione ex-novo di luoghi di culto cattolici in tutta l’area, favoriscono l’assorbimento della regione nel Ducato, in maniera spesso pacifica. Iniziata in sordina con la cacciata degli Slavi da Siponto, acceleratasi dopo la vittoria longobarda sull’esercito imperiale bizantino nell’assedio del 663, la conquista della Puglia da parte dei longobardi beneventani avviene anche e soprattutto mediante un inglobamento delle diocesi esistenti all’interno del complesso sistema di governo beneventano, nel quale iniziano ad assumere molta importanza i vescovi, i quali sono in sostanza i veri “governatori” del popolo che abita nelle città. A tal proposito occorre sottolineare come nelle diverse agiografie a nostra disposizione, prodotte in area longobarda, i santi sono spesso presentati come “difensori della città”, ovvero dotati di un potere che la leggenda iniziale dell’Origo Gentis Langobardorum affidava alle divinità norrene Odino e Freya, ovvero del potere di far vincere le battaglie agli eserciti. Questo potere “militare” che veniva attribuito ai santi, si riverberava gioco forza sui vescovi, che erano in sostanza i prosecutori della loro opera di evangelizzazione, per cui la figura del Vescovo assume una importanza non solo religiosa ma anche sociale, militare e politica. Non mancano casi in cui i Vescovi sono pronti a scendere sul campo di battaglia per guidare il proprio popolo contro i nemici.

È di questo periodo, probabilmente, la traslazione delle reliquie di San Leucio nella città di Trani, altro importante porto commerciale pugliese, dove venne costruita una chiesetta per custodirle, oggi inglobata nell’imponente duomo della città.

Sempre a Teuderada viene addebitato il ritrovamento delle reliquie di San Sabino di Canosa: la agiografia del santo fa della duchessa beneventana la principale protagonista della vicenda. Stando infatti a quanto contenuto nella Historia vitae inventionis translationis Sancti Sabini episcopi, un certo Gregorio, di origine ispaniche, essendo gravemente malato, inizia un lungo pellegrinaggio nei diversi santuari per ricevere la grazia della guarigione e in seguito ad un sogno premonitore, si reca in Italia per ottenere tale miracolo dal Vescovo Sabino, che è da Paolo Diacono indicato come Vescovo di Spoleto. Giunge infatti nella capitale del ducato umbro ma qui lo stesso santo gli appare in sogno e gli suggerisce di cercare la sua tomba a Canosa, in Puglia. Arrivato a destinazione, Gregorio cerca disperatamente il sepolcro del vescovo ma non riesce a trovarlo, nemmeno chiedendo informazioni agli ecclesiastici della città. Finalmente, in sogno, gli appare il santo che gli indica il luogo della sua sepoltura e lo invita a recarsi a Benevento dalla duchessa Teuderada per dirle di costruire una chiesa sulla sua tomba. La duchessa longobarda si reca al sepolcro del santo e vi trova non solo le reliquie bensì anche una grossa quantità di oro, che decide di portare con sé nella capitale, dimenticandosi della richiesta da parte del santo di costruire una chiesa sul luogo del ritrovamento. Appena iniziato il viaggio verso Benevento, giunta al ponte sull’Ofanto, la duchessa viene disarcionata da cavallo per volere divino e subito comprende che quella era una punizione per il suo comportamento scorretto nei confronti del santo. Tale formula di narrazione, che serve a far comprendere la potenza del santo, si trova spesso nelle agiografie, in particolare in quelle composte dai longobardi beneventani intorno al IX secolo, come appunto la Historia Sabini, redatta durante il governo di Grimoaldo IV lo Stolesayz, quindi tra l’806 e l’817. Dopo la caduta, Teuderada ritorna immediatamente sul luogo del ritrovamento delle reliquie e ordina di costruire rapidamente una chiesa in onore del Santo, con un grande altare di marmo sul luogo esatto della sua sepoltura, che poi adornò con pietre preziose e con suppellettili in oro, ricavate da quello ritrovato nella tomba. Sempre secondo l’agiografia, la chiesa fatta costruire da Teuderada divenne subito meta di pellegrinaggi e ben presto si registrò il primo grande miracolo di Sabino: un cieco, sordo e deforme pellegrino, identificato come Aquitanus, mentre pregava nella chiesa, venne miracolato e riacquistò istantaneamente vista, udito e un corpo sano.

Dal racconto capiamo quanto fosse ancora importante la Via Traiana: il ponte sull’Ofanto, transitabile ancora oggi, si trova infatti lungo la Via Traiana e costituiva una sorta di ingresso alla città di Canosa; poco distante infatti si trova ancora oggi un altro Arco di Traiano, molto più piccolo ma ugualmente importante di quello presente a Benevento.

A facilitare la conquista longobarda della Puglia, infatti, vi era proprio la presenza della Via Traiana, la quale doveva essere ancora un buone condizioni, lungo la cui direttrice si trovavano i principali insediamenti, molti dei quali attraversavano una lunga crisi demografica ed economica iniziata con il crollo dell’Impero d’Occidente ed acuitasi con la guerra greco-gotica, dopo la quale nessun centro del meridione poteva dirsi “florido”.

Seppur breve, il ducato di Grimoaldo II servì a consolidare e a rafforzare l’autonomia dei longobardi beneventani e il loro peso politico nella regione. Il suo matrimonio con la figlia del nuovo Re Pertarito, il quale ripristinava la dinastia bavarese, era la prova che i Duchi di Benevento avevano dato vita ad un vasto territorio autonomo e bellicoso, che poteva dimostrarsi capace di “conquistare” la stessa capitale del Regno, come era successo con il nonno, omonimo, del nuovo Duca. Il desiderio della corona pavese di pacificarsi definitivamente con i beneventani divenne realtà anche grazie all’avvenuta conversione al cattolicesimo da parte della dinastia regnante sul trono ducale, impersonificata da Teuderada, la quale è da considerarsi “la Teodolinda del Sud” non solo per l’opera di evangelizzazione e di costruzione o restauro di luoghi di culto, ma anche e soprattutto perchè dà avvio ad una dinastia cattolica anche nel Ducato di Benevento. Come vedremo, infatti, questa dinastia “friulana” proseguirà a governare il meridione grazie ai duchi successivi, i quali sono ormai profondamente cattolici ma al tempo stesso riusciranno a conservare la bellicosità e quindi non rinunceranno alle conquista militari, a spese di quel che restava dei possedimenti bizantini nel Sud Italia.

1 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi , Libro VI, 2

2 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi , Libro V, 36

3 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi , Libro V, 36, vv 5-13

4 Gravio sembrerebbe provenire da Graf ed indicherebbe un signore territoriale di origine nobile, equivalente di conte

5 Questa ipotesi è stata dimostrata da Bognetti

6 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi , Libro V, 36, vv 13-23

7 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi , Libro V, 38

8 Paolo Diacono,Storia dei Longobardi , Libro V, 39

9 Moneta del tardo impero Romano, il cui valore era uguale ad un terzo di un solido con un peso di 1/216 della libra romana, cioè tra 1,49 e 1,52 g.

10 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi , Libro V, 39, vv 43-59

11Paolo Diacono, Storia dei Longobardi , Libro V, 40

12 Paolo Diacono,Storia dei Longobardi , Libro V, 41

13Si rimanda a Ermanno Arslan, Una riforma monetaria di Cuniperto Re dei Longobardi

14Si rimanda a Ada Campione, La Vita di Sabino Vescovo di Canosa: un exemplum di agiografia longobarda

15Si rimanda a Gioia Bertelli, Puglia preromanica

16Giorgio Otranto, I Longobardi e il santuario sul Gargano, in I Longobardi del Sud

17Giorgio Otranto, I Longobardi e il santuario sul Gargano, in I Longobardi del Sud