GRIMOALDO, QUINTO DUCA DI BENEVENTO E VENTESIMO RE DEI LONGOBARDI

Testo di Alessio Fragnito e Vincenzo Antonio Grella, foto di Alessio De Lillo, soci di Benevento Longobarda

 

“Scoperta la perfidia degli Avari, Taso, Caco e Radoaldo, figli di Gisulfo e di Romilda, saltano subito a cavallo e prendono la fuga. Uno di loro, ritenendo che il fratellino Grimoaldo non ce la facesse a reggersi sul cavallo in corsa perchè troppo piccolo, pensò che era meglio per lui morire di spada che sopportare il giogo della prigionia e decisa di ucciderlo. Ma quando alzò la lancia per colpirlo, il bambino piangendo esclamò, << Non mi uccidere: posso tenermi a cavallo>>. Egli allora tese la mano, lo afferrò per il un braccio e lo pose sul dorso nudo di un cavallo e lo esortò a reggersi forte, se ce la faceva: il bambino prese le redini e seguì anch’egli i fratelli in fuga. Accortosi del fatto, gli Avari montarono subito a cavallo e li inseguirono; ma, mentre gli altri, con rapida corsa, riuscivano a sfuggire, il piccolo Grimoaldo venne raggiunto da uno degli Avari, che era stato più veloce. Tuttavia, dopo averlo catturato, questi non si curò, per la pochezza della sua età, di colpirlo con la spada, ma pensò di tenerselo come servo. E mentre, tornando all’accampamento, lo riportava reggendo le briglie del suo cavallo e si rallegrava di aver fatto una così nobile preda – era infatti un bambino di bell’aspetto, con gli occhi scintillanti e lunghi capelli chiarissimi-, questi, dolente di essere trascinato prigioniero agitando grande animo in piccolo petto, sguainò la spada – grande quanto poteva portarla a quell’età – e percosse con tutte le sue forze sulla testa dell’Avaro che lo portava via. Il colpo arrivò subito al cervello e il nemico cadde di sella. Allora il piccolo Grimoaldo, voltato il cavallo, felice prese la fuga e infine raggiunse i fratelli, dando loro con la propria liberazione e in più con la notizia dell’uccisione del nemico un’incredibile gioia.”

Il racconto rocambolesco della fuga e dell’eroica azione del piccolo Grimoaldo, che ci viene narrata da Paolo Diacono nella HL1, preparano il terreno per narrare le gesta del quinto duca di Benevento.

Come scritto nel precedente saggio, l’aneddoto della fuga fa parte dell’intera storia dell’invasione Avara ed è collegata alla presentazione della genealogia di Paolo Diacono. La storia di Lopichis è molto simile a quella del piccolo Grimoaldo, ricostruendo un immaginario mitico perfettamente ascrivibile alla cultura germanica e delle popolazioni della steppa2. Va in oltre aggiunto che la figura del piccolo guerriero la possiamo rintracciare anche nelle saghe scandinave3, ciò ci riporta al postulato narrativo degli eroi che sin dalla giovanissima età danno prova di doti non comuni, e ciò come ben sappiamo fa anche parte di una letteratura classica che il buon Diacono sicuramente conosceva. Molto probabilmente, come tanti altri aneddoti, il racconto faceva parte di una nutrita tradizione orale ben conservata dalla gens Longobarda, tradizione che aveva subito sicuramente delle modifiche con il tempo e che poi venne ulteriormente adatta dallo stile narrativo del Diacono, mantenendo però intatti gli elementi simbolici e patetici che dovevano restituire agli ascoltatori l’immagine di un formidabile Grimoaldo bambino, spiegando così dalla tenerà età le future incredibili gesta.

In effetti Grimoaldo doveva far parte di una schiera di eroi di cui i Longobardi narravano collettivamente le gesta, e anche il nome che in alcune traduzioni risulta essere “il capo dall’elmo magico” più che una traduzione letterale del nome, sembra essere un aggetivo qualificante del primo Grimoaldo. Tratti magici vengono spesso accostati agli eroi in molte culture, in quella germanica-scandinava ne abbiamo moltissimi esempi4.

Al di là del mito e della mitizzazione, come scritto nel precedente saggio, la figura di Grimolado si ritrovò a rivestire un ruolo chiave nella sua epoca, dovuto anche alle convulsioni che il regno dei Longobardi si trovò a vivere. Alla morte del Re Arioaldo, il Trono di Pavia passò a Rotari5 della stirpe degli Arodi. Diacono in particolare getta un quadrò di lui che però rispecchia la profonda spaccatura politica e religiosa di quegli anni:

“Fu uomo di grande forza e seguì il sentiero della giustizia, ma non tenne la retta via nella fede cristiana e si macchiò della perfidia dell’eresia ariana. Perchè gli Ariani sostengono, a loro rovina, che il Figlio è minore del Padre e che lo Spirito Santo è minore del Padre e del Figlio; invece noi cattolici professiamo che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono un unico e vero Dio in tre Persone, con uguale potenza e stessa gloria. Ai suoi tempi in quasi ogni città del suo regno c’erano due vescovi, uno cattolico e l’altro ariano.”6

Questa dualità rispecchiava la frattura che permase per lungo tempo nel mondo longobardo. Abbiamo già avuto modo di vedere come i Duchi ariani fossero più inclini alla guerra e di fatto la politica di Rotari fu molto aggressiva ed espansionistica. Il suo successore Rodoaldo prese in moglie la figlia di Agilulfo e di Teodolinda, Gundiperga7, un tentativo goffo di provare a saldare le due anime del regno che però non portò assolutamente i frutti sperati. Come dimostra la continuazione del racconto, Gundiperga fu accusata di adulterio da parte di uno sconosciuto, fu allora il servo di lei, Carello a sfidare l’accusatore:

“Essa fu accusata di adulterio presso il marito e il suo servo Carello ottenne dal re di combattere in duello contro l’uomo che l’aveva accusata, per sostenere la sua innocenza; questi affrontò l’accusatore a singolar tenzone e lo vinse alla presenza di tutto il popolo. Dopo di ciò, la regina recuperò la primitiva dignità.”8

Oltre a restituire un affresco delle usanze giudiziarie dell’epoca, questo aneddoto testimonia anche la fragilità della pace tra la componente ariana e la componente cattolica. Alla morte di Rodoaldo la parte cattolica prese subito le redini della situazione, sfruttando la figura di Gundiperga, riuscendo a mettere sul trono Ariperto, figlio di Gundoaldo, fratello della regina Teodolinda. Con questa manovra il partito cattolico rimetteva sul trono la dinastia Bavarese riuscendo ad assicurarsi il primato sulla parte Ariana, che accettò il cambio di regine a denti serrati.

Fin dall’ascesa al trono, il nuovo sovrano favorì la diffusione del cattolicesimo, ma al di là delle considerazioni religiose, questo atteggiamento era la messa in pratica da parte dell’aristocrazia longobarda, di appoggiarsi alla Chiesa cattolica per poter arrivare alla completa sottomissione dell’Italia. In quegli anni era nato un fortissimo dissidio teologico tra Roma e Costantinopoli, dissidio che si incarnò in papa Martino I9, eletto e consacrato senza l’avallo dell’imperatore. Martino convocò un concilio per condannare la dottrina monotelita10 che si era diffusa in Oriente. I piani di Re Ariperto furono bruscamente fermati dall’intervento dell’esarca di Ravenna Teodoro I Calliope11, il quale arrestò e deportò Martino I, e addirittura il suo successore Vitaliano, eletto nel 657, riportò il papato in seno a Bisanzio. Non sappiamo se la tempestività dell’azione Bizantina fosse guidata dalla volontà di ostacolare i piani della corte di Pavia, più verosimilmente essi rispondevano alla volontà dell’allora imperatore Costante II12 di impedire le dispute religione, causa principale di dissidi interni all’impero. E’ però certo che questa manovra frantumò la politica di Ariperto, visto che il papato riprese la sua politica anti-longobarda, conseguentemente l’opposizione Ariana trovò nuove energie e forze. Quando Ariperto morì nel 661, il regno fu diviso tra i suoi figli: Pertarito, cattolico, e Godeperto, ariano. Il primo si spostò a Milano che divenne la sua capitale, mentre il secondo rimase a Pavia.

Torniamo ora al nostro Grimoaldo:

Presso Benevento intanto, morto il duca Radoaldo, che aveva retto il ducato per cinque anni, fu eletto duca suo fratello Grimoaldo, che governò il ducato dei Sanniti per venticinque anni. Egli generò da una fanciulla di nome Ita -schiava , ma nobile – un figlio, Romualdo, e due figlie. Egli era un grandissimo guerriero e dovunque famoso”13

Grimoaldo venne fatto duca dall’assemblea guerriera dei Beneventani, confermando la totale autonomia politica del ducato rispetto a Pavia. Una delle primissime imprese del nuovo duca fu la difesa del santuario dell’Arcangelo Michele sul Gargano da un gruppo di Greci, probabilmente pirati14. Benchè fervente ariano su di lui non cadrà mai la mannaia della propaganda cattolica di Paolo Diacono, che anzi ne esalterà sempre le gesta. Su Ita non sappiamo praticamente nulla, e stando al racconto non sappiamo nemmeno se fossero davvero sposati o se si trattasse di una sorta di unione civile, visto che la condizione servile della donna probabilmente impediva al Duca di prenderla in sposa.

Mentre Grimoaldo regnava come duca a Benevento, la situazione del regno di Pavia precipitò.

La conflittualità tra Pertarito e Godeperto sfociò in una guerra aperta, tuttavia vista la situazione nessuno dei due contendenti aveva la forza reale di conquistare l’altro. Fu allora che la parte ariana fedele a Godeperto decise di convincerlo ad inviare una formale richiesta d’aiuto a Grimoaldo.

Perciò Godeperto mandò il duca di Torino Garipald da Grimoaldo,allora valoroso duca dei Beneventani,invitandolo a venire al più presto e a portargli aiuto contro suo fratello Perctarit, e promettendo di dargli in moglie sua sorella, la figlia del re.”15

I ducati periferici, come Benevento, Spoleto e il Friuli, godevano sotto molti aspetti di una condizione privilegiata. Governati da solide dinastie essi non risentivano delle perniciose lotte intestine dei duchi, a meno che eventi catastrofici non ne sconbussolassero gli equilibri interni, come ad esempio accadde con l’invasione Avara del Friuli del 610. Questo non significa che in questi ducati non erano presenti conflitti tra fare o interni ad esse, ma tali conflitti venivano metabolizzati all’interno di una rete di rapporti che avevano come perno principale il Duca. La corte di Pavia era nata per rispondere alle esigenze del regno, ma non era ancora riuscita a darsi una propria autonomia dal potere ducale. La lenta conversione al cattolicesimo aveva incominciato ad erodere sotto molti aspette le prerogativa politiche e sociali dei Duchi, soprattutto perchè avvicinava troppo la corte al papato, con la pericolosità di aumentare il prestigio del re.

Era chiaro che solo un re forte poteva imporre la sua volontà e ripristinare il regno, magari un re ariano? Guarda caso Grimoaldo era ariano.

Ma l’ambasciatore, operando con l’inganno a danno del proprio signore, esortò Grimoaldo a venire a prendere in pugno lui stesso, che era maturo di anni, saggio nel consiglio e potente di forze, il regno dei Longobardi che i troppo giovani fratelli stavano mandando in rovina.”16

Noi non sappiamo se effettivamente Garibaldo fece questo discorso al Duca Beneventano. Rispetto alle cose soprascritte è lecito pensare che Garibaldo, più che traditore della patria, abbia riferito il messaggio del ceto dirigente dei duchi ariani. Grimoaldo dovette sembrare un candidato eccellente, ma chiaramente Paolo Diacono, da monaco cattolico, non poteva apertamente parteggiare per un eroe ariano. Molto probabilmente l’etichetta di ingannatore ed istigatore che rimase marchiata a fuoco su Garibaldo fu per certi aspetti un artefatto narrativo. Non è questa la sede per aprire un tentativo di riabilitazione di Garibaldo, però non possiamo non guardare con sospetto le nefande accuse che piovvero sul suo capo, sopratutto alla luce del fatto che nella letteratura e nelle saghe di questi “infami” personaggi ve ne sono e ve ne saranno a iosa, ma sono questi personaggi che mettono in moto i meccanismi delle storie, salvaguardando l’integrità degli eroi.

A sentire questi discorsi, Grimoaldo eresse subito l’animo all’ambizione del regno. E, ordinato duca a Benevento suo figlio Romualdo, egli con una schiera ben scelta si mise in viaggio verso Ticino, e in tutte le città per cui passò raccolse intorno a sé amici e alleati per la conquista del regno. Mandò Transamundo conte di Capua nel territorio di Spoleto e nelle Tuscia per legare alla propria parte i Longobardi di quella regione.”17

Le azioni di Grimoaldo parlano da sole. Di fronte alla possibilità di prendere il potere, quale duca si sarebbe tirato indietro? Qui vediamo anche come l’elemento dinastico si fosse imposto in maniera più decisa, Grimoaldo associa al potere Romualdo e stavolta non c’è bisogno dell’assemblea dei guerrieri di Benevento per decidere. Occorre precisare che Romualdo venne lasciato a governare il Ducato in sostituzione del padre, il quale comunque non rinunciò alla carica di Duca di Benevento prima di partire, per cui dal punto di vista “istituzionale”, Romualdo è un semplice duca facente funzione, anche alla luce del fatto che nell’Elenco dei Duchi longobardi di Benevento che fa parte dell’insieme di scritti conosciuto come Codex Legum Langobardorum e conservato all’Abbadia di Cava dei Tirreni, ma composto a Montecassino (codice dal quale abbiamo ricavato tutte le fonti principali sulla storia longobarda, a partire dall’opera di Paolo Diacono per finire a tutte le leggi dei re pavesi e dei principi beneventani), vi è scritto chiaramente che “Grimoaldus sedit an.XXV”, ovvero che governò 25 anni, per cui egli rimase ufficialmente Duca di Benevento anche quando divenne successivamente Re di Pavia.

La scelta delle schiere lascia intendere che il Duca Beneventano fece un’accurata selezione tra i membri delle fare , molto probabilmente i più vicini ed affidabili, come ad esempio il conte di Capua Transamundo. A questo punto fu la notorietà dello stesso Grimoaldo a fare il resto. La causa di Godeperto, per quanto caldeggiata dai duchi ariani, non dovette dare l’impressione di essere destinata a vincere, molto probabilmente per l’inettitudine di Godeperto. E’ lecito pensare che la fazione cattolica godesse delle simpatie Papale e sopratutto Bizantine, per questo poteva vantare un fronte più compatto e coeso attorno alla figure di Pertarito. Non sappiamo se Grimoaldo avesse fatto una propaganda politica delle sue reali intenzioni, molto probabilmente i duchi erano stati selezionati, anche mediate l’aiuto di Garibaldo e dalle capacità diplomatiche di Transamundo che divenne l’Araldo delle ambizioni di Grimoaldo. Non siamo in grado di definire con certezza i sentimenti dei duchi, però rispetto alla loro situazione, la comparsa di un futuro re forte , o quanto meno di un condottiero in grado mi mettere “ordine” nel “caos” era un opportunità impossibile da lasciarsi sfuggire. E in questa ottica sicuramente Grimoaldo dovette sembrare veramente, l’eroe della provvidenza divina.

Per questo motivo, come afferma Paolo Diacono, durante la sua marcia verso Pavia, raccolse innumerevoli consensi e “Trasamundo gli venne incontro sulla Via Emilia con molti partigiani. Giunto a Piacenza e trovandosi ormai alla guida di un folto esercito, Grimoaldo mandò verso Pavia, a preannunciare il suo arrivo, Garibaldo, che Godeperto gli aveva inviato come messaggero18”. Alla vista del grosso esercito, il giovane Re Godeperto non si spaventa affatto e su consiglio di Garibaldo decide di ospitare Grimoaldo nel palazzo reale, anche perchè il duca di Benevento “giungeva su invito del re e ne doveva sposare la sorella”.

Il racconto prosegue con la descrizione di un vero e proprio inganno orchestrato dal duca Garibaldo per indurre Grimoaldo ad uccidere il giovane Godeperto e ad assumere il potere regio, cosa che alla fine avviene non appena i due vengono a colloquio. Stando a quanto racconta Paolo Diacono, il perfido Garibaldo consigliò a Godeperto di indossare una corazza sotto la veste (lorica sub veste) per proteggersi da Grimoaldo, il quale a suo dire lo voleva uccidere. Allo stesso tempo, Garibaldo fa credere a Grimoaldo che il giovane re abbia le stesse intenzioni e per verificarle gli basterà abbracciare Godeperto per accertarsi se abbia o meno una corazza nascosta sotto la tunica: se la indossa vuol dire che ha intenzioni bellicose. Per questo motivo, subito dopo averlo abbracciato, Grimoaldo uccide Godeperto. Alla notizia del regicidio, l’altro re, ovvero il fratello Pertarito, che governava da Milano, fugge precipitosamente e ripara presso il Kaghan degli Avari, mentre la sua famiglia viene sequestrata da Grimoaldo e spedita a Benevento, dove non potrà avere contatti con nessuno.

Grimoaldo, non appena si fu insediato nel regno, sposò in Pavia la figlia di re Ariperto che gli era stata promessa (dal defunto Godeperto)…. poi nel rimandare a Benvento, carico di doni, l’esercito con il cui aiuto si era impadronito del regno, alcuni li trattenne presso di sé, assegnando vastissimi possedimenti19”.

A quel punto, secondo Paolo Diacono, il re Grimoaldo inviò una ambasceria al Kaghan degli Avari a cui impose di non dare più rifugio a Pertarito, se non voleva la rottura della pace tra i due popoli. Questo significa che Grimoaldo poteva dettare condizioni anche al potentissimo Cacano degli Avari, che in altre pagine del libro di Paolo Diacono viene invece descritto come il più potente dei Re, in quanto alla guida di un esercito invincibile, che però di fronte alla “fama” di Grimoaldo, scende a patti ed accetta l’ultimatum. Così Pertarito ritorna a Pavia e Grimoaldo gli promette protezione ed incolumità, ma ben presto, visto che il giovane ex-re diventa punto di riferimento della componente cattolica, sempre più numerosa, alla fine Grimoaldo decide di uccidere anche lui. Il suo progetto però va a vuoto a grazie ai suoi partigiani di Pertarito che lo fanno fuggire in tempo e il giovane, scampato alla morte, riesce a trovare accoglienza presso i Franchi, con la fondamentale mediazione dei suoi uomini più fidati, concentrati nel ducato di Asti.

Grimoaldo fu re dei longobardi dal 662 al 671 e conservò in questi anni anche il titolo di Duca di Benevento, lasciando suo figlio a governare in sua vece. Nell’azione di conquista del trono si servì della fedeltà del Conte di Capua, che nominerà Duca di Spoleto, e del potentissimo Duca del Friuli, chiamato Lupo, con cui si lega mediante un matrimonio combinato tra i rispettivi figli. In tal modo egli riesce di fatto a realizzare una unificazione politica dei territori longobardi in Italia che mai nessuno era riuscito a realizzare prima. Non solo, in qualità di sovrano dei longobardi si lancia in campagne di espansione militare: conquista definitivamente Oderzo, vendicando in tal modo i suoi fratelli, e distrugge Forlì, avamposto bizantino.

Qui Paolo Diacono parla di una invasione di Franchi provenienti dalla Provenza che furono affrontati e sconfitti con l’astuzia da Grimoaldo, proprio nei pressi di Asti ma l’autore non mette in relazione le due cose per cui egli non crede che questa invasione sia collegata alla presenza di Pertarito presso i Franchi. Molto probabilmente i Franchi che accolsero Pertarito non erano gli stessi franchi provenzali che invasero l’Italia, anche perchè non vi sono cenni a questa invasione nelle cronache franche.

Come riportato da Paolo Diacono, il re Grimoaldo distribuisce terre ai suoi uomini più fedeli ed avvia una strutturazione dello stato longobardo basata su rapporti interpersonali diretti tra il re e i diversi centri di potere. I rapporti di fedeltà tra nobili guerrieri sono alla base del regno di Grimoaldo, per cui durante il suo governo mai nessuno oserà mettere in discussione la sua legittimità a governare. Grazie a questi suoi “rapporti vassallatici” ante-litteram il Re riuscirà anche a tramandare il proprio regno: alla sua morte l’assemblea delle lance elegge come re il figlio minorenne Garibaldo, nato dal secondo matrimonio che Grimoaldo aveva realizzato con la sorella di Pertarito e Godeperto, garantendo in tal modo anche la prosecuzione della dinastia bavarese sul trono di Pavia, al fine di legittimare il proprio erede, a cui non a caso aveva dato lo stesso nome del padre di Teodolinda, la prima regina bavarese. Sfortunatamente per lui Pertarito non esitò ad abbandonare l’esilio e aiutato dai suoi seguaci a Pavia riuscì a deporre il giovane Garibaldo dopo poche settimane dalla sua elezione e a farsi eleggere re nello stesso anno (671). E’ importante ricordare che Garibaldo era non solo il nome del capostipite della “dinastia bavarese”, ovvero Garibaldo Duca dei Bavari, padre della regina Teodolinda, ma anche il nome del Duca di Torino che invitò Grimoaldo ad effettuare il colpo di stato col quale divenne Re.

Divenendo Re di Pavia, Grimoaldo conservò anche il titolo di Duca di Benevento ma lasciò il governo a suo figlio Romualdo, sotto il cui ducato sarebbe avvenuta la conversione dei beneventani per opera di San Barbato a cui è legata la vicenda del taglio della sacra arbor, probabilmente un noce, che poi nei secoli successivi venne associata alla leggenda delle streghe.

La fonte principale della leggenda è la Vita Barbati Episcopi Beneventani20 prodotta nel IX secolo, quindi circa duecento anni dopo i fatti, la quale riporta eventi del tutto ignorati invece da Paolo Diacono, che scriveva circa cento anni prima. Nel corso dei secoli il racconto agiografico deve aver avuto una notevole incidenza sull’elaborazione di un immaginario collettivo che ancora oggi concepisce la figura della “strega” come legata ai riti magici descritti nell’apertura della Vita Barbati, come del resto dimostrato dalla famosa opera De Nuce Maga, di Paolo Piperno, pubblicata nel 1640, nella quale la stregoneria, il culto della vipera da parte di longobardi e i riti attorno all’albero sacro si fondono in un’unica “religione” dell’occulto, facendo credere che siano stati i longobardi a far nascere la “stregoneria”. In realtà, come sappiamo, l’opera di Piperno rispondeva all’esigenza di esaltare la famiglia La Vipera, per cui furono messi in risalto gli aspetti della leggenda agiografica legati alla figura della vipera, come se i committenti dell’opera fossero interessati a legittimare il loro potere politico, dato che tramite il libro potevano reclamare di discendere addirittura dal duca Romualdo, come testimoniato dal loro cognome.

Ma veniamo ai fatti: come racconta Paolo Diacono, nel 663 l’imperatore bizantino Costante II (chiamato in molte fonti Costantino) sbarca con un grosso esercito a Taranto e risale la penisola “con l’intenzione di strappare l’Italia dalle mani dei Longobardi”. Secondo Paolo l’imperatore bizantino conquistò e rase al suolo Lucera ma non riuscì a conquistare Acerenza, che resistette. Constante allora si diresse verso Benevento che assediò con tutto l’esercito. Il giovane Romualdo inviò il suo balio Sessualdo a Pavia per chiedere aiuto al padre, il quale subito radunò l’esercito e partì verso il Sud Italia ma durante il tragitto molti longobardi lo abbandonarono, convinti che Grimoaldo stesse tornando a Benevento per rimanervi. Intanto secondo il racconto dell’HL Romualdo teneva impegnati i bizantini con rapide sortite e “l’esercito imperiale attaccava violentemente con ogni mezzo Benevento, mettendo a dura prova Romualdo che resisteva coraggiosamente con il suo esercito”. Quando Grimoaldo è molto vicino al territorio beneventano fa avviare Sessualdo per recare la notizia del suo arrivo imminente ma questi viene catturato dai bizantini. Interrogando Sessualdo, l’imperatore “si spaventò” quando seppe della vicinanza di Grimoaldo e si affrettò a stipulare una pace con Romualdo al fine di attraversare il Ducato beneventano per raggiungere Napoli in tranquillità. Si avviano quindi le trattative di pace e l’imperatore riesce a farsi consegnare Gisa, sorella di Romualdo, come ostaggio e garanzia. Poco dopo fa avvicinare Sessualdo alle mura per fargli dire il falso, cioè che Grimoaldo non poteva correre in suo aiuto, minacciando di ucciderlo se avesse fatto il contrario. Sessualdo, però, preferisce la morte che il tradimento e grida a Romualdo che il padre è molto vicino ed egli non ha nulla da temere. Venne quindi ripreso dai bizantini e decapitato e la sua testa venne gettata dentro la città con una catapulta. Essendo i suoi piani saltati per l’eroismo di Sessualdo, l’imperatore Costante si affretta quindi a togliere l’assedio e si dirige verso Napoli ma cade in una imboscata da parte del duca di Capua Mitola, che nei pressi del fiume Calore lo sconfigge duramente. In ogni modo Costante ripara a Napoli e da qui organizza una spedizione militare guidata da Saburro il quale alla guida del grosso dell’esercito imperiale si accampa a Forino. Saputa la notizia Grimoaldo decide di affrontarlo apertamente ma il figlio Romualdo gli chiede la guida dell’esercito longobardo e, ottenuto dal padre il comando, marcia contro i bizantini, “con i suoi soldati”, ovvero con i beneventani “e con quelli ricevuti del padre”, cioè con l’esercito nazionale longobardo. Durante la battaglia si registra l’episodio di Amalogo, il *reggiasta longobardo, che sradica a mani nude un bizantino dal proprio cavallo e lo solleva sopra la propria testa: alla vista di questa scena i soldati bizantini fuggono per lo spavento e riparano a Napoli.

L’imperatore poi si reca a Roma, dove incontra Papa Vitaliano e deruba la città di ogni oggetto di bronzo, per poi tornare di nuovo nella città partenopea e infine scendere in Sicilia, dove rimase ben cinque anni. Insediata la sua corte a Siracusa, sottopose tutti, “sia i semplici cittadini che i possidenti della Calabria, della Sicilia, dell’Africa e della Sardegna a vessazioni incredibili”, fino a quando alcuni congiurati non lo uccisero a tradimento. Dopo la sua morte vi fu il colpo di stato di Mecezio, che si proclamò imperatore ma poi venne deposto dagli eserciti bizantini in stanza nel mediterraneo (Italia, Sardegna, Africa), che erano stati rinforzati, come vedremo, dallo stesso Costante.

Paolo Diacono poi racconta che “sapute queste cose, i Saraceni, che già avevano occupato Alessandria e l’Egitto, sbarcarono in Sicilia con molte navi ed entrarono in Siracusa, dove fecero una grande strage (…) poi se ne tornarono ad Alessandria portando come bottino anche tutti gli oggetti che l’imperatore Costante aveva rubato a Roma”.

Sul vero scopo della spedizione di Costante, in realtà, non tutti gli storici concordano. Secondo Maisano21 infatti, l’obiettivo principale di Costante era quello di arginare l’avanzata araba nel mediterraneo, motivo per cui egli, dopo aver attraversato il meridione, si dirige in Sicilia e qui vi rimane per cinque anni fino al suo omicidio perpetrato all’interno di una congiura ideata in seguito a quella che viene definita da più fonti come una deriva autoritaria. A suffragare questa ipotesi c’è la notizia, riportata dal Liber Pontificalis, dell’istituzione da parte di Costante di una armata imperiale per l’Africa, attiva nel 663, che avrebbe dovuto contrastare l’avanzata araba. Vi era stata, infatti, come ricorda anche Paolo Diacono, la conquista araba di Alessandria d’Egitto, preludio all’espansione islamica nel Magreb e si erano già registrate alcune incursioni arabe in Sicilia, per cui non è da escludere che l’obiettivo principale della spedizione era quella di fare dell’isola un presidio bizantino in funzione anti-araba, come testimoniato da più fonti che parlano della volontà dell’imperatore di spostare la capitale a Siracusa. Egli fece infatti richiesta di ricongiungersi con la famiglia ma il senato di Costantinopoli non diede l’assenso. Inoltre, sempre il Liber Pontificalis ci informa dell’invio da parte di Costante di un esercito di trentamila uomini contro il califfo Moawiah, partiti dalla Sicilia sotto la guida del patrizio Niceforo.

Il tragitto di Costante, in effetti, non segue una logica conseguenziale al desiderio di distruggere i longobardi beneventani ma appare decisamente “sui generis”. L’esercito infatti non segue una direttrice ben precisa ma effettua un percorso a zig-zag, assediando e distruggendo Lucera e, secondo altre fonti, anche Ecana (attuale Troia) ed Herdonia (attuale Ordona), le quali non sembrano essere fondamentali capisaldi del controllo militare longobardo del meridione e, a parte Acerenza, non sembrano avere una importanza strategica. Dal tono del racconto di Paolo Diacono siamo spinti a credere che l’imperatore avanzasse distruggendo ogni agglomerato che trovava sul suo cammino, ma questo comportamento distruttivo è messo in risalto soprattutto dalle cronache di matrice longobarda, dato che l’intera faccenda è vista come una questione di vita o di morte per i longobardi.

Se però andiamo ad analizzare con calma il racconto di Paolo, notiamo che l’assedio di Benevento viene interrotto di fronte all’arrivo dell’esercito nazionale longobardo, quando invece avrebbe dovuto rappresentare il momento topico della spedizione se il suo obiettivo primario fosse stato realmente quello della riconquista dei territori longobardi in Italia. Di fronte a quello che sarebbe dovuto essere lo scontro finale, cioè la battaglia tra esercito imperiale ed esercito reale longobardo, l’imperatore fugge e si reca a Napoli, lasciando per strada una parte del proprio esercito alla guida dell’armeno Saburro che verrà poi sterminata dal duca di Capua Mitola nei pressi di Forino. Recatosi a Roma, l’imperatore deruberà la città e lo stesso poi farà con la Sicilia, sulla quale istituisce un regime fiscale opprimente, che gli inimicherà ampi strati della popolazione.

Se andiamo a confrontare il racconto di Paolo Diacono con le altre fonti del periodo notiamo una certa discrepanza: gli episodi narrati nella Historia Langobardorum non sono citati da nessuna altra parte. Nel Liber Pontificalis, ad esempio, nel capitolo dedicato al Papa Vitaliano, il motivo della visita dell’imperatore in Italia appare esclusivamente religioso, i longobardi non sono nemmeno nominati e tra Papa e Imperatore sembra esserci un rapporto di fiducia. Solo dopo la partenza di Costante da Roma e il suo arrivo in Sicilia l’imperatore viene descritto come un vero flagello per il popolo e per la Chiesa.

Nella stessa Origo, la fonte principale di Paolo Diacono, questo evento viene presentato senza accennare all’assedio di Benevento: “a quei tempi (quando era Re Grimoaldo) l’imperatore Costantino uscì da Costantinopoli e si recò in Campania, poi disceso in Sicilia venne ucciso dai suoi”.

Alla luce di queste considerazioni possiamo supporre che la fonte di Paolo Diacono sull’evento dell’assedio sia stata principalmente orale, volendo escludere una improbabile invenzione di sana pianta da parte dello storico. Paolo, vissuto a Benevento per diverso tempo, deve aver ascoltato dalle voci locali il resoconto di tale avvenimento, probabilmente ingigantito dagli stessi beneventani, o almeno da loro visto come un episodio cruciale nella propria storia. Quando Paolo scrive sono passati più di cento anni dagli episodi, ma è difficile credere che un evento così importante (l’assedio dell’esercito imperiale) fosse già stato dimenticato dalla città.

Ad ogni modo, a prescindere dalla quantità di “materia” trasmessa oralmente, è chiaro che Paolo Diacono vede tale vicenda nell’ottica longobarda e soprattutto scrive cercando di mettere in risalto le gesta dei grandi longobardi del passato, in un momento in cui invece i longobardi del suo presente sembrano essere condannati a scomparire dalla Storia.

Anche i testi arabi e bizantini tacciono completamente la natura della missione di Costante e soprattutto non menzionano in nessun modo il suo tentativo di conquista dei possedimenti longobardi. Teofane non ne fa cenno e il suo silenzio è ribadito dagli altri storici di cui sarà fonte. Interessante è invece una cronaca araba, riportata dal Maisano, secondo la quale quando la notizia della morte di Costante arrivò alle orecchie del califfo Utman Ibn Affan, egli esclamò “sia lode a Dio che l’ha fatto morire, egli era nemico dei musulmani”; grazie a questo evento, la cronaca può affermare che “quindi i musulmani conquistarono la Sicilia”.

Il fatto che dopo l’impresa di Costante i Saraceni abbiano invaso l’isola, del resto, è riportato anche dallo stesso Paolo Diacono e le due cose sono messe timidamente in relazione (“sapute queste cose”).

Altri studiosi, invece, sono convinti che la missione di Costante rientrasse in un progetto più organico di riconquista bizantina dei territori. Secondo Bognetti, infatti, l’invasione bizantina deve essere messa in relazione all’invasione franca, quasi contemporanea, che invece impegnò i longobardi nel nord Italia. Questo duplice attacco ai possedimenti longobardi in Italia, secondo Bognetti, rispondeva agli accordi siglati tra franchi e bizantini una sessantina di anni prima, per cui la spedizione di Costante va letta in questa ottica.

A tal proposito, però, occorre ricordare che Grimoaldo, per realizzare il colpo di stato, uccise Godeperto e costrinse Pertarito a rifugiarsi proprio presso i Franchi, a cui potrebbe aver chiesto aiuto per riconquistare il suo regno, non per per distruggerlo. Ma come abbiamo visto l’invasione franca del 663 non viene riportata dalle cronache franche ufficiali, per cui è probabile che si trattasse di contingenti armati non legati al potere centrale.

L’assedio bizantino a Benevento, stando alla tradizione, animata dal racconto agiografico Vita Barbati Episcopi Beneventani, sarebbe la causa della definitiva conversione dei longobardi beneventani al cristianesimo, contestualmente all’abbandono definitivo dei riti tradizionali che venivano descritti dall’agiografia come “pagani” ma ancora molto diffusi tra il popolo. A sancire in maniera definitiva la conversione al cristianesimo, l’agiografia racconta del taglio del noce magico attorno al quale avvenivano i rituali pagani incriminati, taglio a cui segue lo sradicamento completo operato da San Barbato in persona. Nel processo di conversione sembra aver avuto un ruolo principale Teodorada, la moglie di Grimoaldo, il quale si trova appunto a dover gestire l’assedio. Al fine di rafforzare la sua amicizia con Lupo, il duca del Friuli, che considera un suo fedelissimo, Grimoaldo organizza il matrimonio tra suo figlio e la figlia del duca friuliano, la (forse già) cristiana Teodorada, la quale sembra avere un ruolo di primo piano anche nella costruzione delle prime chiese longobarde e nel ripristino di siti cristiani precedentemente devastati dai longobardi stessi, primo tra tutti il monastero di Montecassino, che adesso diventa un punto di riferimento importante per l’aristocrazia longobarda meridionale ormai cristianizzata.

La Vita di San Barbato descrive l’assedio di Benevento ad opera di Costante II come il contesto storico entro cui si narra l’azione evangelizzatrice del santo, nominato Vescovo della città proprio in virtù della sua grande opera di conversione. Il racconto inizia con la descrizione dei riti pagani: i guerrieri longobardi si radunavano fuori città attorno ad un albero sacro al quale appendevano una pelle sacra che poi battevano con forza dopo aver cavalcato in modo sfrenato prima dando le spalle all’albero e poi correndo in maniera forsennata verso l’albero stesso. Tale descrizione è stata spesso travisata e ancora oggi molti credono che i longobardi cavalcassero al contrario, ma ciò è oggettivamente impossibile, del resto il testo è chiaro: i cavalli vengono cavalcati dando le spalle all’albero, non alla briglia. Consapevole di queste aberrazioni, il cattolico Barbato cerca di predicare il cristianesimo ma appare un’impresa impossibile, visto che anche i governanti sono schiavi di queste credenze, a cui sembrano dare una notevole importanza. Tutto cambia quando arriva alle porte della città l’esercito bizantino: Romualdo invia il suo messo dal padre ma in cuor suo sa di non avere scampo, perchè il suo esercito è troppo esiguo rispetto all’imponente truppa imperiale. Nel momento di massimo sconforto, Romualdo medita la resa, proponendo un suicidio collettivo, cioè affrontare a viso aperto il nemico sapendo di essere sconfitti, ed è proprio a quel punto che entra in scena Barbato, che consiglia al Duca di affidarsi completamente alla Vergine Maria, la quale proteggerà la città se egli abbraccerà la fede cristiana. Per convincere il Duca, Barbato lo accompagna, nottetempo, sulle mura della città e i due assistono all’apparizione della Vergine Maria sulla cinta muraria, un segno che vuol significare protezione divina. Romualdo, colpito dalla visione, si dichiara pronto ad abbracciare la fede cristiana in modo definitivo e allora il vescovo lo assicura sul fatto che il giorno dopo l’assedio finirà.

Come preannunciato dalla visione mariana, il giorno dopo l’esercito bizantino leva l’assedio e abbandona la città. Romualdo è raggiante e premia Barbato, ma, dopo qualche tempo, ritorna nel peccato: sua moglie Teodorada, infatti, convoca di nuovo il Santo per confessargli che suo marito, anche se pubblicamente cristiano, in privato continua a venerare una vipera d’oro, che tiene nascosta nella sua stanza. Allora il vescovo, con l’aiuto di Teodorada si presenta al Duca proprio mentre egli effettua questo rituale pagano e lo rimprovera duramente, incolpandolo di essere uno spergiuro e di non essere riconoscente verso chi gli ha garantito la salvezza del ducato. Colpito dalle dure parole del santo, il duca Romualdo si pente amaramente di aver tradito la promessa fatta e consente a Barbato di fondere la vipera d’oro, giurando di abbracciare una volta per sempre la fede cristiana. Infine, Barbato ottiene dal duca il permesso di sradicare completamente il noce per porre fine ai riti pagani e sotto le sue radici trova due vipere, simbolo del demonio. Sullo stesso luogo fonda una chiesa, chiamata Santa Maria in Voto, grazie alla donazione di Teodorada. Tutta questa versione viene riportata dal De Nuce Maga, opera di Pietro Piperno, patrizio beneventano, prodotta nel 1640 e che tanto ha contribuito alla nascita della legende delle streghe di Benevento.

Come accennato, tutto ciò che viene raccontato nell’agiografia non si trova da nessuna altra parte, se non in testi successivi che hanno questo racconto come fonte principale22. E’ difficile credere che Paolo Diacono, il quale scrive il suo HL in monastero e che è un fervente cristiano abbia taciuto completamente questa faccenda pur essendone a conoscenza: nella sua ricostruzione dell’assedio bizantino il santo Barbato non è nemmeno nominato, non si fa cenno ai riti, né all’albero, né al culto della vipera.

Anzi, se leggiamo attentamente HL notiamo che secondo Paolo Diacono i longobardi meridionali erano già cristiani con Grimoaldo, il quale, prima di diventare Re, saputo che degli slavi stavano saccheggiando la grotta di San Michele sul Gargano si fionda su di loro e li annienta, costringendoli a restituire tutto ciò che avevano rubato nel santuario23.

A sottolineare la discrepanza tra i due racconti basterà ricordare che Teodorada viene data in sposa a Romualdo dopo l’assedio e non prima, per cui sembra molto difficile che tale donna abbia potuto far entrare Barbato a palazzo e lo abbia potuto far parlare con Romualdo durante l’assedio.

Importante è anche la differenza tra il modo di resistere all’assedio del Duca Romualdo: Paolo Diacono afferma che Romualdo si difendeva con tutte le sue forze, senza mai pensare minimamente ad arrendersi, mentre invece il testo agiografico descrive il Duca come in preda alla totale disperazione, per cui addirittura minaccia e propone un suicidio collettivo.

Per chiarire la faccenda dobbiamo ricordare che la Vita Barbati è stata scritta nello stesso periodo in cui venne realizzato il ciclo di affreschi “le storie di san barbato” che adornavano il duomo di Benevento, dedicato appunto alla Vergine Maria, la quale “fece il miracolo”. Inoltre, esisteva anche una versione liturgica della vita del Santo, molto probabilmente successiva al racconto agiografico, per cui dobbiamo riconoscere che nel IX secolo il culto di San Barbato doveva essere molto sentito dai beneventani. Ad alimentare il culto, molto probabilmente, era stato lo stesso principe beneventano Sicone, il quale, provenendo da un colpo di stato e quindi essendo un usurpatore “illegittimo” aveva bisogno di accreditarsi nei confronti dei beneventani ed infatti si diede da fare anche per raccogliere diverse reliquie, cercando in tal modo l’appoggio della chiesa nella sua opera di legittimazione politica.

Secondo il Martin, quindi, l’autore del racconto agiografico su San Barbato non aveva altre fonti se non quelle orali, tradizionali, che raccontavano eventi di circa 200 anni prima.

Ma anche volendo bollare la vita barbati come del tutto inventata dall’autore, dobbiamo però riconoscere tre verità evidenti e incontrovertibili:

  1. Barbato è da più parti definito come vescovo di Benevento ed è il primo dopo un lungo periodo di sede vacante, è certo che come vescovo della città abbia partecipato al concilio romano del marzo 680, tenuto da papa Agatone;

  2. il duca Romualdo di certo annesse alla diocesi di Benevento la diocesi di Siponto, dove si trovava la grotta di San Michele Arcangelo e stando alla tradizione agiografica si convertì al cristianesimo, inoltre realizzò un pellegrinaggio sul Gargano per visitare la grotta di San Michele Arcangelo e in seguito, forse colpito dal culto dell’arcangelo, si adopererà per restaurare la grotta, facendo costruire la prima rampa di accesso e facendo incidere il suo nome come committente dell’opera all’ingresso del santuario (visibile ancora oggi nella parte più antica dell’attuale santuario), anche se secondo alcuni in realtà fu suo nipote Romualdo II, qualche anno più tardi, a realizzare tale opera;

  3. è attestata la fondazione di alcune chiese dedicate alla Vergine Maria nel beneventano in questo periodo, sia fuori che all’interno del perimetro urbano.

Partendo da queste verità inoppugnabili, cioè il fatto che Barbato abbia fatto un’opera di evangelizzazione nel beneventano e il fatto che il Duca Romualdo si sia convertito al cristianesimo tanto da diventare “devoto” di San Michele, possiamo mettere in relazione le due cose e arrivare alla conclusione che sia stata l’opera di Barbato a far convertire il duca beneventano. Come abbia fatto, non abbiamo certezza: possiamo credere al racconto agiografico e quindi legare la conversione all’assedio bizantino del 663 oppure possiamo credere al racconto di Paolo Diacono e considerare l’assedio e la conversione come due elementi separati, per cui a far scappare i bizantini sarebbe stato l’esercito di Grimoaldo e non il miracolo mariano mentre a far convertire Romualdo sarebbe stato senza dubbio il vescovo Barbato, forse con la complicità della moglie Teodorada.

Il fatto che la conversione sia avvenuta dopo l’assedio e che non sia conseguenziale a tale evento è del resto suggerito proprio dalla presenza di Teodorada, la figlia del Duca del Friuli Lupo che il Re Grimoaldo dona in sposa a suo figlio dopo la fine dell’assedio, la quale viene considerata nell’agiografia come artefice o quanto meno co-protagonista della conversione di suo marito.

In conclusione, l’assedio del 663 portato avanti dall’imperatore bizantino Costante II, lungi da essere “la madre di tutte le battaglie”, rientrava in una spedizione militare più complessa, con finalità non riducibili “solo” alla distruzione dei possedimenti longobardi nel meridione; tale assedio venne ovviamente visto dai beneventani come un evento epocale, drammatico e gravido di conseguenze. Tra queste conseguenze va inserita molto probabilmente anche la conversione del Duca Romualdo, avvenuta grazie all’impegno del vescovo Barbato e della duchessa Teodorada. La cristianizzazione di Romualdo, però, appare più legata alla figura del santo guerriero Michele Arcangelo piuttosto che all’assedio vero e proprio; la stessa devozione verso la Vergine Maria, a cui sono dedicate sia la cattedrale di Benevento che le chiese fatte costruire da Teodorada, sembra essere “derivata” proprio dalla duchessa, nonostante l’episodio dell’apparizione narrato nell’agiografia.

1 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro IV ,37

2 Vedi saggio su Radoaldo a cura di Benevento Longobarda

3 Ci riferiamo alla saga di Hadding e alla saga di Gunnar

4 Per ulteriori letture, Edda Poetica o Edda di Snorri Sturluson

5 Rotari diventa Re nel 636

6 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro IV, 42

7 Gundiperga ,591-653

8 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro IV, 47

9 Papa dal 649, fino alla sua morta avvenuta nel 655 a Cherson

10 Dottrina che consistente nell’affermazione che in esiste un’unica volontà o un’unica operatività o energia

11Esarca dal 648 al 649. Nel 652 tornò in Italia per arrestare Martino I. Rimase in carica fino al 666

12Imperatore di Bisanzio dal 641 fino alla sua morte , avvenuta a Siracusa nel 668

13Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro IV, 46

14S. Gasparri, I Duchi Longobardi

15 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro IV, 51

16Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro IV, 51

17 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro IV, 51

18 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro IV, 51

19Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro V, 1

20Contenuta nella MGH, consultabile on line (in latino) sul sito tedesco dmgh.de

21Si rimanda a Riccardo Maisano, La spedizione italiana dell’imperatore Costante II, 1975

22Si rimanda a “A propos de la Vita de Barbatus, eveque de Benevent” di Jean-Marie Martin, 1974

23Paolo Diacono, HL. Libro IV, 46