ROMUALDO, SESTO DUCA DI BENEVENTO

di Alessio Fragnito e Vincenzo Antonio Grella, soci di Benevento Longobarda

Reggeva allora il ducato Romualdo, il figlio ancora giovinetto di Grimoaldo. Appena seppe dell’arrivo dell’imperatore, egli inviò subito il suo precettore Sesualdo al di là del Po da suo padre Grimoaldo, pregandolo di venire al più presto e portare aiuto potente a suo figlio e ai Beneventani che egli stesso aveva cresciuto e protetto.”1

Come abbiamo visto nel precedente saggio, Costante II era alle porte di Benevento. Abbiamo già visto come il titanico progetto dell’imperatore fallì e lo stesso Costante né subì le nefaste conseguenze2. Tuttavia è molto utile tornare sul alcuni frammenti di quei momenti, che ci riportano un affresco della società Beneventana e del carattere del giovane futuro Duca.

Romualdo con i Longobardi resisteva con valore e, sebbene per la piccolezza del suo esercito non osasse venire a battaglia con un tale moltitudine, spesso tuttavia faceva irruzioni negli accampamenti nemici con un gruppo di giovani armati alla leggera e infliggeva loro sempre grandi perdite.”3

Romualdo diede immediatamente prova di essere il degno erede del padre. Non solo accorto nella strategia, ma anche audace e temerario. I Giovani che compiono incursioni erano i virgulti della nobiltà guerriera Longobarda e sopratutto Beneventana, gioventù di cui lo stesso Romualdo fu un fulgido esempio. In queste righe viene anche specificata la tattica usata dai giovani guerrieri, un tipo di guerriglia a cui i Longobardi erano sempre stati avvezzi, noi non sappiamo se effettivamente questi raid inflissero effettivamente le terribili perdite di cui parla Diacono, ma sicuramente dovettero incidere pesantemente sul morale degli assedianti bizantini. Se dovessimo concentrarci sul piano tattico strategico, la superiorità dei Bizantini sembra schiacciante, ma non la loro forza politica. La resistenza di Romualdo fu la testimonianza diretta del consolidamento dell’identità politica Longobarda Beneventana, identità che si sarebbe consolidata sempre di più nella lotta contro il dominio Bizantino. Benevento era Longobarda e “agli dei piacendo” lo sarebbe rimasta per sempre.

Le ambizioni di Costante II non erano completamente avulse dalla realtà, anzi dobbiamo riconoscere il grande spirito e la formidabile personalità dell’Imperatore, che però come in altri casi, si scontrò immancabilmente con le pretese e le aspirazioni dell’aristocrazia dell’Impero Bizantino che non guardava più all’Italia come un territorio nevralgico. Da molto tempo gli interessi del ceto dirigente di Costantinopoli si erano spostati sui Balcani e sull’Anatolia , i veri polmoni dell’Impero. Ciò non significa che il mediterraneo avesse perso completamente di interesse strategico, come d’altronde testimoniò l’infelice scelta di spostare la residenza Imperiale a Siracusa, tuttavia lo stato tardo antico e tutto il suo carico ideologico era ormai arrivato alle sue battute finali.4

Viceversa il dominio Longobardo di Benevento era in pieno sviluppo e politicamente motivato:

Ma il figlio Romualdo: <<Non è necessario>>,gli disse; <<dateci solo una parte del vostro esercito. Io, con il favore di Dio, combatterò contro di lui;e avrò vinto,maggior gloria ne verrà alla vostra potenza>>. Così fu fatto; e ,presa una parte dell’esercito del padre e i propri uomini, Romualdo muove contro Saburro. Prima di attaccare battaglia ordinò di suonare le trombe dai quattro lati e subito si precipitò arditamente contro di loro. Mentre tutti e due gli schieramenti combattevano con grande tenacia, un uomo dell’esercito del re, Amalongo, che aveva l’incarico di portare l’asta regia, colpendo con forza a due mani con quell’asta un Greco, lo sollevò dalla sella su cui cavalcava e lo alzò in aria al di sopra della propria testa. A quella vista, l’esercito dei Greci fu preso da immenso terrore e si diede alla fuga; e, sconfitto e sterminato, con la fuga procurò a sé stesso la morte, a Romualdo e ai Longobardi la vittoria. Così Saburro, che aveva promesso all’Imperatore di guadagnare il trofeo della vittoria sui Longobardi, tornando a lui con pochi uomini, gli arrecò l’ignominia; invece Romualdo, ottenuta la vittoria sui nemici, tornò in trionfo a Benevento, portando gioia al padre e sicurezza a tutti, perchè aveva eliminato la paura dei nemici.”5

Se riprendessimo ad esame i vari duchi che si erano succeduti fino a questo momento, non riusciremmo a tracciare una linea perfettamente dritta da Zottone a Romualdo. La complessa storia politica e sociale dei Longobardi, presentò molte sfumature di cui sarebbe impossibile non tenere conto, sopratutto nella complessa dialettica tra il potere Ducale e il potere Regio.

L’eccezionalità delle origini familiari dei Duchi Beneventani, a partire da Arechi I, si amalgamò alle favorevoli condizioni territoriali di cui abbiamo parlato nei precedenti saggi. L’ampliamento del dominio del Ducato fu sempre opera dell’azione autonoma dei Longobardi della regione guidati dai propri Duchi, i quali posero in questa maniera se stessi come “capi nazionali” della gens Longobarda di Benevento6. A rafforzare questa identità , come soprascritto, non poteva che essere il continuo stato di conflitto contro il nemico “bizantino”. Da queste premesse non potevano che emergere figure come quella di Romualdo.

Nelle parole di Diacono non può mancare la provvidenza divina, che vede nel giovane Romualdo un campione del volere di Dio, volere che si palesa nell’eroica vittoria contro il nemico Greco. Oltretutto Romualdo sarà il catalizzatore della cattolicizzazione dei Longobardi di Benevento, in antitesi con la storia paterna, divenendo però un punto di inizio per una nuova fase dello sviluppo non solo del Ducato Longobardo, ma di tutto il Meridione. E qui che dobbiamo fare un ulteriore precisazione: con la sconfitta di Costante II, i Longobardi divennero i protagonisti principali della storia dello sviluppo sociale e politico del Meridione, mentre i domini Bizantini subirono un declino inarrestabile.

Sulla scia della vittoria a Meridione Grimoaldo decise di completare la sua personalissima vendetta colpendo la città do Oderzo:

Infatti Grimoaldo aveva un odio non comune per i Romani, che avevano ingannato nella loro fede i suoi fratelli Taso e Caco. Per questa ragione distrusse completamente la città di Oderzo, dove i due erano stati uccisi, e divise tra la tra la gente di Cividale, Treviso e Ceneda le terre di coloro che l’abitavano.”7

Sembra concludersi così la saga dei figli di Gisulfo II, iniziata con l’assedio di Cividale e conclusasi con la distruzione di Oderzo. E’ interessante come nel termine “Romani” Paolo Diacono voglia attuare una distinzione con i “Greci” cercando quasi di dare al lettore una sorta di visione differenziale, molto probabilmente volta solo a sottolineare la nefandezza compiuta. Di fatti anche i termini con cui Paolo Diacono menziona Costante II e altri imperatori, sottolinea un rispetto comunque dovuto alla carica Imperiale, carica che però non può assolutamente pretendere di tornare a governare sui territori occidentali. La formula dell’”odio non comune” lascia inoltre intendere che molto probabilmente la politica della stirpe bavarese avesse fatto breccia nell’aristocrazia, per cui fondamentalmente l’odio e l’aggressività di Grimoaldo era talmente lampante da dover essere giustificato in qualche modo, e la vendetta come la faida erano motivazioni più che valide.

Un evento particolarmente significativo del regno di Grimoaldo fu, come abbiamo accennato nel saggio a lui dedicato, l’insediamento del gruppo Bulgaro guidato da Alzecone nei territori del Ducato di Benevento:

In questi tempi un duca dei Bulgari, chiamato Alzeco,l asciata la sua gente per motivi non ben noti, entrò pacificamente in Italia, si recò con tutta la gente del suo ducato dal re Grimoaldo e gli promise che lo avrebbero servito e avrebbero vissuto nel suo territorio. Egli lo inviò al figlio Romualdo, a Benevento, ordinandogli di concedere a lui e al suo popolo delle terre in cui abitare. Il duca Romualdo li accolse volentieri e assegnò loro per viverci una vasta zona che era stata fino ad allora disabitata, cioè Sepino, Boiano, Isernia e altre città con i loro territori, e dispose che lo stesso Alzeco, cambiato titolo di dignità, da duca fosse chiamato gastaldo. Essi abitano ancora oggi in quelle località e, sebbene parlino anche latino, non hanno però perso affato l’uso della propria lingua.”8

Sull’etnogenesi delle popolazioni che hanno formato il gruppo etnico, che possiamo riconoscere come Bulgari, esistono molte teorie. Tuttavia è quanto meno assodato da numerose branche della ricerca storica, che essi fossero di stirpe turca e vengono chiamati proto-bulgari. Il processo iniziale vide la convivenza di tre gruppi distinti: i proto-bulgari, gli Slavi e i Traci9. Difatti il processo di unificazione fu molto lungo e avvincente e porto alla formazione di ciò che gli stessi cronisti dell’impero bizantino chiamarono “Grande Bulgaria” a partire dal 68110.

Come tutti i popoli delle steppe, in principio vi era “l’orda”. Tutte le stirpi di nomadi equestri dell’euroasia partivano da questa organizzazione politica di base, la quale era molto più dinamica e complessa di quanto si possa pensare. La capacità di aggregazione e di disgregazione di un orda, consentivano una fluidità unica e spesso difficile da identificare in tutti i suoi passaggi capillari. La storia delle orde che giunsero in Europa si configurò sempre in uno scontro endemico con i gruppi stanziali di agricoltori e portò dei cambiamenti significativi nei processi di sviluppo dei gruppi nomadici.11 La differenza tra i vari popoli non va ricercata necessariamente negli aspetti più squisitamente culturali, ma nelle strategie che questi popoli si diedero per sopravvivere e prosperare nelle aree in cui si insediarono. Nel caso dei proto-bulgari sappiamo che essi stessi erano un gruppo misto, tanto che la stessa parola “bulga” sembrerebbe provenire dall’antico turco : “mescolare”.12

Tuttavia, come in ogni orda che si rispetti, gli elementi egemoni prendevano il sopravvento, fino a denominare l’orda stessa, per cui possiamo dedurre che l’elemento dei futuri Bulgari fosse proprio quello dominante.

I Proto-bulgari avevano già conoscenza degli Slavi prima del loro arrivo nell’odierna Bulgaria,

ma i rapporti tra i due gruppi non furono mai completamente pacifici. La primissima fase del nascente Khanato Bulgaro si dibatte nel feroce conflitto tra i gruppi egemoni dei nomadi equestri e i capi dei clan Slavi.13 L’entità politica che nascerà da questo sanguinoso conflitto e che sarà conosciuta appunto come Grande Bulgaria, diventerà l’antagonista principale dell’Impero Bizantino nei Balcani.

Torniamo ora la nostro Alzecone. Stando a quanto riportato dallo storico bizantino Teofane il Confessore, Alzeco era uno dei cinque figli di Kurt, conosciuto anche come Kubrat, a cui si deve la prima unificazione di tutte le tribù bulgari intorno al 632. Alla su morte, avvenuta nel 642 i suoi cinque figli presero il controllo delle tribù, dividendole in cinque orde diverse, interrompendo il processo avviato dal padre. Mentre due dei figli di Kurt seguirono il destino del padre, gli altri tre ebbero minore fortuna. Il figlio chiamato Asparuckh realizzò la fondazione della Grande Bulgaria, che si estendeva per un vasto territorio a ridosso dell’Impero bizantino, mentre il figlio chiamato Kotrag guidò le sue orde verso il Volga, dando vita ai “bulgari del Volga” la cui esistenza è attestata per i successivi sei secoli circa.

Alzeco, invece, sempre secondo Teofane, si diresse ad ovest, per superare il Danubio insieme all’altro fratello Kuber, il quale poi rimase nella terra degli Avari, mentre invece Alzeco si recò in Istria e da lì raggiunse l’Italia, dirigendosi verso i territori bizantini, ovvero nell’Esarcato di Ravenna.

Di un tale Alciocus parla la Cronaca di Fredegario nel libro IV, quando dice che in seguito a dei dissidi accaduti tra gli Avari, nel 631 vennero espulsi 9000 bulgari con le proprie mogli e il seguito dal loro territorio e andarono dal re franco Dagoberto, al quale chiesero terre dove insediarsi. Dagoberto finse di volerli accogliere tutti nei territori della Baviera e li fece ospitare per una notte nelle case dei bavari, per ucciderli a tradimento. Dei 9000 se ne salvarono solo 700 e guidati da Alciocus riuscirono a porsi in salvo nella “Marca Vinedorum” quindi in Istria.14

Secondo la ricostruzione che ne fece lo storico molisano Vincenzo D’Amico15, Alzeco era già a capo di un proprio esercito e nel 631 si recò all’interno del territorio controllato dagli Avari, con cui i bulgari condividevano molti aspetti culturali. Qui però nacquero dei dissidi tra lui e i capi degli Avari per cui fu costretto a fuggire e a cercare riparo presso il Re dei Franchi Dagoberto il quale prima gli promise ospitalità e poi invece, di notte e a tradimento, ordinò lo sterminio del suo popolo. I sopravvissuti vennero guidati da Alzeco in Italia, dal Re dei longobardi, che in quel momento era appunto Grimoaldo, il quale cercò di utilizzare le truppe bulgare per rafforzare le difese del Regno nel Sud, alla luce di cosa era successo con l’invasione bizantina di Costante II.

Il gruppo di bulgari di Alzeco era composto non soltanto da un contingente militare, ma anche da un ampio seguito sociale, come è testimoniato dagli ampi ritrovamenti archeologici effettuati nella provincia di Campobasso e che costituiscono la migliore prova della veridicità storica delle parole di Paolo Diacono.

Il ritrovamento archeologico ascrivibile ai Bulgari guidati da Alzeco è del resto il più ampio del meridione per tutto il periodo longobardo in quanto a presenza di armi, che si presentano in ogni caso molto simili a quelle rinvenute in altre zone del Sud ed ascrivibili più propriamente ai longobardi. Si tratta in sostanza di due vaste necropoli, utilizzate per oltre un secolo, situate a Vicenne e Morrione, nei pressi di Bojano, nelle quali sono state scavate fino ad ora 350 tombe, nelle quali si ritrovano bambini, donne e uomini, tra cui spiccano alcuni cavalieri sepolti insieme ai propri cavalli bardati, esemplari anziani che testimoniano la proprietà e l’uso del cavallo da parte dell’inumato, insieme ad un grande numero di armi, presenti anche in alcune tombe senza cavallo. In particolare, la pratica dell’inumazione contestuale di cavallo e cavaliere, sembra essere il tentativo da parte di questa comunità di conservare un legame con le proprie origini e tradizioni etniche, dato che il resto dei corredi testimonia una accentuata mescolanza di elementi longobardi, bizantini e tardo-romani. Le necropoli si trovano proprio a ridosso del tratturo Pescasseroli-Candela, la via di transito che evidentemente doveva essere presidiata dagli uomini di Alzeco, i quali probabilmente adottavano il principio della hospitalitas e quindi erano in sostanza autosufficienti, anche perchè avevano a disposizione i vicini pascoli montani del Massiccio del Matese.

I corredi hanno restituito una discreta varietà di oggetti personali, come ad esempio collane in ambra e pasta di vetro, orecchini in oro o argento, pettini in osso, rari coltellini in ferro per le donne; armi, anelli, bracciali ed elementi della cintura per gli uomini. Tra le armi la più diffusa è lo scramasax, ma troviamo anche coltelli e pugnali più corti, cuspidi di lancia, punte di freccia, archi e faretre, umboni e impugnature dello scudo. I cavalli sepolti, come accennato, sono bardati: sono state ritrovate staffe, fibbie, anelli, morsi e soprattutto briglie decorate con borchie realizzate in argento, bronzo o osso. Pochi sono i piccoli recipienti ad uso personale e quando si trovano sono di fattura mediocre, rari sono i bicchieri in vetro integri, numerosi invece sono i fondi dei bicchieri riutilizzati come pendagli porta fortuna per i bambini, presenti nei loro corredi.

La sepoltura contestuale del cavaliere con il proprio cavallo, il quale veniva ucciso alla morte del suo padrone per potere accompagnare il defunto nell’aldilà, era una tradizione tipica dei popoli delle steppe asiatiche, per cui non abbiamo dubbi sull’origine “bulgara” del gruppo sociale, ma la presenza di elementi tardo-romani in altre tombe, soprattutto in alcune non particolarmente ricche, ci inducono a credere che la composizione sociale degli abitati della zona fosse più varia e che i bulgari riproponessero queste usanze funerarie per rimarcare la propria identità.

Su molti degli individui maschi adulti sepolti nelle necropoli sono stati evidenziati numerosi traumi da violenza interpersonale, a testimonianza che si trattava quindi di un gruppo a fortissima connotazione militare, inserito nel sistema di presidio e controllo del territorio del Ducato per via della scarsa consistenza numerica dei governanti longobardi rispetto alla vasta estensione dei loro possedimenti meridionali16.

La presenza di elementi non riconducibili alla tradizione delle steppe asiatiche dimostra quindi che tale presidio col tempo divenne un luogo di aggregazione sociale e di ridefinizione dei centri abitati in un territorio che a causa della sua persistenza su una via di transito doveva aver risentito pesantemente della guerra greco-gotica e del lungo stato di instabilità politica che ne seguì.

Di particolare interesse sono due tombe, una a Vicenne e l’altra a Morrione, che presentano un individuo adulto sprovvisto della cintura, la cui spoliazione in vita era sinonimo di umiliazione sociale e/o perdita di potere politico ma che qui, invece, era stata probabilmente concessa in dono ad un altro membro del gruppo, forse per l’alto valore sacrale dell’oggetto, per cui la mancanza della cintura potrebbe indicare un passaggio di consegne dal capo morente al nuovo condottiero del gruppo, magari suo figlio17.

E’ significativo come questo gruppo di armati, per i quali il cavallo costituisce quasi un’estensione della propria esistenza, si sia stabilito nel Ducato proprio nel periodo in cui viene registrata la conversione dei longobardi beneventani al cristianesimo, che avviene in seguito al taglio della sacra arbor, attorno al quale, secondo l’agiografia di San Barbato, i cavalieri correvano in maniera sfrenata in sella ai loro cavalli celebrando un rituale che secondo Ceglia “sembrerebbe potersi ricollegare al culto per una divinità della fecondità dei campi e della caccia. All’interpretazione di una stretta relazione tra il rituale e l’esaltazione dello status di cavaliere si affianca quella del tramandarsi di un culto pagano di origine germanica assai radicato e forse ripetuto sulla scia della tradizione più che del simbolismo sociale. All’interno di questo quadro culturale, la sepoltura contestuale di uomo e cavallo bardato può interpretarsi certamente come tentativo di celebrazione di un gruppo sociale ma anche come esaltazione di un elemento tipico della cultura nomade di un gruppo allogeno18”.

Sempre presenti nelle necropoli di Vicenne e Morrione, le quali distano meno di 1 km tra loro, sono dei contenitori in ceramica dipinti di rosso, che si ritrovano in tutte le inumazioni meridionali del periodo longobardo e che possono essere individuati come uno degli elementi principali della ritualità funeraria del periodo, visto che sono presenti anche in tombe ascrivibili a soggetti autoctoni e di chiara cultura cristiana tardo-antica.

La figura di Alzecone è ben conosciuta agli abitanti di Celle di Bulgheria, nel Cilento, dove la statua del condottiero si erge nel centro dell’abitato. A lui infatti si deve la fondazione del paese, o almeno si crede. In realtà Celle si trova molto distante dal luogo di reale insediamento dei bulgari, di cui parla correttamente Paolo Diacono, che è stato riscontrato anche archeologicamente grazie al ritrovamento delle necropoli proprio nella zona geografica indicata dallo monaco longobardo.

Torniamo ora alle vicende di Romualdo.

Ma Grimoaldo, mentre si trovava nel suo palazzo il nono giorno aver subito un salasso, preso l’arco, cercò di colpire con una freccia una colomba e si ruppe una vena del braccio. Si dice che i medici gli applicarono medicamenti avvelenati e così lo finirono del tutto.”19

Nel 671 Grimoaldo morì. La storia della sua morte ci riporta delle icone particolarmente care a tutta la narrazione dei Longobardi, da un lato la colomba, l’animale simbolo dello smacco subito da Alboino quando conquistò Pavia e dall’altro la presenza perenne degli intrighi e dei veleni. E’ assai probabile che si fosse creato un ampio mito sulla fine di Grimoaldo, che da eroe quale fu non poteva morire semplicemente, c’era bisogno di un atto simbolico che segnasse il trapasso di questo formidabile uomo, che tuttavia ebbe il mortale difetto di essere uno degli ultimi campioni dell’arianesimo Longobardo. Difetto ovviamente che non poteva passare inosservato alla penna del buon Diacono.

Nelle prime fasi, i partigiani di Grimoaldo riuscirono ad insediare il piccolo Garibald, il figlio che egli aveva avuto dalla figlia di Ariperto, e quindi erede sia della stirpe Beneventana che di quella Bavarese. Tuttavia l’esule Pertarito godeva ancora di un fortissimo sostegno da parte dell’aristocrazia cattolica, che incominciò a preparare il suo ritorno. Rispetto a ciò le parole del Diacono dimostrano nuovamente la sua preferenza per la stirpre Bavarese cattolica:

Perctarit si imbarcò su una nave per raggiungere l’isola di Britannia e il regno dei Sassoni. Ma quando già aveva preso il largo, si udì dalla riva una voce che chiedeva se Perctarit fosse su quella nave. Fu risposto che Perctarit era lì, e allora quello che gridava continuò: <<Ditegli che ritorni nella sua patria, perchè oggi sono tre giorni che Grimoaldo ha lasciato questo mondo>>.Udito questo Percatirt tornò subito indietro e, sceso sulla riva, non potè trovare la persona che egli aveva annunciato la morte di Grimoaldo; per cui ritenne che non fosse stato un uomo, ma un messaggero divino. E di lì si diresse in patria e quando giunse alle chiuse d’Italia trovò ad aspettarlo, insieme a un grande numero di Longobardi, l’intero seguito di palazzo e già pronto tutto quanto spettava alla dignità regia. Così, tornando a Ticino, espulso dal regno il piccolo Garipald, fu elevato re da tutti i Longobardi il terzo mese dopo la morte di Grimoaldo. Era un uomo pio, cattolico, tenace nella giustizia e generosissimo nutritore di poveri. Egli inviò subito suoi uomini a Benevento e richiamò di lì sua moglie Rodelinda e suo figlio Cuniperto.”20

Il ritorno in grande stile di Pertarito è ampiamente incorniciato dal’episodio semi divino della “chiamata”. Nella visione profondamente religiosa e cattolica di Paolo Diacono è evidente come tutti gli eventi, o quanto meno quelli più significativi per gli scopi del cronista, seguano lo schema della provvidenza divina, per cui potremmo sostenere che anche se Grimoaldo fu il campione dell’arianesimo, il suo operato servì a sistematizzare e stabilizzare il regno dei Longobardi. Effettivamente il regno di cui Pertarito era molto più stabile del barcollante dominio da cui era stato costretto a fuggire.

Come mai Romualdo non fece nulla per rivendicare il trono? Perchè lasciò andare la famiglia di di Pertarito?

Romualndo non era un vigliacco e tanto meno uno stupido. Morto il padre egli prese ufficialmente il potere come Duca di Benevento, potere che benchè avesse sempre esercitato non fu effettivo fino alla morte di Grimoaldo. Notiamo che in questo caso non vi è alcuna traccia dell’assemblea delle lance del popolo dei Sanniti. Il potere dei nobili Longobardi di Benevento non era certo scomparso né si era attenuato, tuttavia la dinastia iniziata da Grimoaldo era riuscita a porsi come collante politico dell’aristocrazia, sovrastando l’antagonismo tra le fare. E torniamo ai nostri quesiti. L’impresa dei Beneventani aveva testimoniato il potere insito nei ducati perifici, più stabili, omogenei e in grado di imporsi nei momenti di difficoltà. Tuttavia Romualdo era ben conscio del vasto seguito di cui Pertarito godeva ed iniziare una guerra sarebbe stato un disastro; tutta la politica di Pertarito invece era votata al rafforzamento della corte e del potere regio e quindi uno status quo di pace in grado di consolidare l’ancora rudimentale macchina amministrativa Longobarda.

L’accordo si trovò molto facilmente, Pertarito si riappacificò con Romualdo, e insieme a lui costituirono una politica matrimoniale volta a stabilizzare gli equilibri del regno. Oltre a liberare Garibaldo, tenuto in ostaggio a Pavia, Pertarito combinò il matrimonio di sua figlia Wigilinda con il figlio di Romualdo, il futuro Grimoaldo II, in oltre Pertarito riconobbe definitivamente l’autonomia del Ducato di Benevento.

Raggiunti tali accordi, Romualdo potè dedicarsi ai suoi veri obiettivi, ovvero mettere definitivamente alle strette i Bizantini.

Mentre avvenivano questi fatti tra i Longobardi al di là del Po, Romualdo, duca dei Beneventani, riunito un grande esercito espugnò e prese Taranto e, allo stesso modo, sottomise al suo dominio Brindisi e tutta la vastissima regione circostante. Sua moglie Teuderada, in quello stesso tempo,costruì fuori delle mura Benevento una basilica in onore del beato apostolo Pietro e vi istituì un cenobio con molte ancelle di Dio.”21

Romualdo riuscì egregiamente nell‘opera di allargamento dei possedimenti longobardi meridionali a scapito dei bizantini i quali, dopo la disfatta di Costante, non riuscirono più nemmeno a difendere i propri territori, ad eccezione di Otranto, che rimase l’unico baluardo bizantino nelle Puglie. Lo stesso vale per la Calabria, dove i bizantini furono costretti ad arretrare, cedendo terreno ai Longobardi e asserragliandosi nel centro fortificato di Reggio.

L’edificazione della basilica da parte di Teuderada22 chiuse l’era Ariana del Ducato, che di fatto ormai era a maggioranza cattolico. E così sulle ceneri dell’impero, tra gli zoccoli scalpitanti dei Bulgari e sotto la guida del formidabile Romualdo, ebbe inizio l’era cattolica del Ducato dei Longobardi di Benevento.

1 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro V, 7 vv. 8-13

2 Nel 668 venne organizzata una congiura contro Costante II, che pose fine alla sua vita il 15 settembre di quell’anno

3 Paolo Diacono,Storia dei Longobardi, Libro V, 7 vv.19-24

4 Georg Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino. Per ulteriori letture vedi anche M.Gallina, Conflitti e coesistenza nel Mediterraneo medievale: mondo bizantino e Occidente latino

5 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro V, 10

6 S. Gasparri , I Duchi Longobardi

7 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro V, 28

8 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro V, 29

9 Gli abitanti romani della regione prima dell’arrivo dei gruppi Slavi

10 D. Angelov, La formation de la nationalité bulgare, Etudes Balkaniques, 4, 1969, p. 14-37

11 Timo Stickler, Gli unni, Il Mulino

12 D. M. Dunlop, The History of the Jewish, Princeton University Press, New Jersey, 1953, p. 40

13F. Conte, Gli Slavi, Le civiltàdell’Europa centrale e orientale, Einaudi

14Chronicarum quae dicuntur Fredegarii Scholastici, Libro IV, 72

15 D’Amico, Vincenzo. I Bulgari trasmigrati in Italia nei secoli VI e VII dell’era volgare e loro speciale diffusione nel Sannio, Campobasso 1933

16Ceglia e Marchetta, Nuovi dati dalla necropoli di Vicenne a Campochiaro, atti del convegno Cimitile 2011

17Ceglia-Marchetta, op. cit.

18Ceglia-Marchetta, op. cit.

19Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro V, 33

20Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro V . 34

21Paolo Diacono, Storia dei Longobardi,Libro VI, 1

22Figlia del Duca del Friuli Lupo. Il matrimonio servì a cementificare l’alleanza tra la famiglia reale con le pontente stirpe ducale friulana. Teuderada fu anche la principale artefice della conversione al cattolicesimo sia di Romualdo che dei Beneventani.