ZOTTONE, IL PRIMO DUCA DI BENEVENTO

di Alessio Fragnito e  Vincenzo Antonio Grella 

Essendo stati costretti a sospendere le nostre attività di rievocazione storica per via della complessa situazione che stiamo vivendo, e non sapendo quando potremo riprendere le manifestazioni dal vivo, noi rievocatori dell’Associazione Culturale Benevento Longobarda inauguriamo un ciclo di approfondimenti storici sul Ducato Longobardo di Benevento nella speranza di non far cadere il buio sul mondo della rievocazione storica in un momento così difficile per la nostra società. Nei prossimi mesi analizzeremo la storia dei longobardi beneventani attraverso la descrizione della vita dei duchi che si sono succeduti sul trono ducale meridionale, nella speranza di poter raccontare, in tal modo, anche la storia di tutte le donne e gli uomini che fecero di Benevento una importante capitale politica di respiro europeo.

Per questo motivo inizieremo con l’analisi del primo dei duchi Beneventani: Zotto, o meglio Zottone, che secondo la maggioranza degli storici fondò il Ducato e governò dal 571 al 591 circa.

Prima di andare ad indagare nello specifico la figura di Zottone, bisogna fare due premesse importanti. La prima riguarda il luoghi ed il contesto storico in cui agì il condottiero e in secondo il sostrato socio-culturale delle popolazioni germaniche che combatterono per lui.

Nell’ottobre del 552 sui monti Lattari1, cadeva combattendo Teia, ultimo re degli Ostrogoti: terminava così il regno degli Ostrogoti in Italia, iniziato nel 493 da Teodorico il Grande della stirpe degli Amali2. Artefice della definitiva sconfitta degli Ostrogoti fu Narsete3, anziano generale dell’Impero Romano d’Oriente. Tuttavia benché la monarchia ostrogota fosse stata definitivamente distrutta, il popolo dei Goti non venne sconfitto definitivamente ai monti Lattari.

Nobili Goti4 riuscirono ad organizzare sacche di resistenza da nord a sud, ma primi di un effettiva guida politica furono costretti a chiedere aiuto oltralpe e in particolare al Regno dei Franchi e al loro re Teodebaldo. Il re dei Franchi rifiutò ufficialmente aiuto a ciò che rimaneva dell’esercito Ostrogoti, ma due dei suoi generali di origine alemanna, Butilino e Leutari, accolsero la richiesta dei goti e scesero in Italia con un corposo esercito di alemanni e di franchi, Teodebaldo non li fermò.

Butilino e Leutari, che molte fonti riferiscono essere fratelli, erano molto probabilmente i capi tribali degli alemanni e benché assoggettati dai Franchi mantenevano una propria autonomia: la loro discesa in Italia rappresentava una grande opportunità di conquista per i due condottieri. Di fatto, quindi, la guerra in Italia non si era affatto conclusa. Nonostante la vittoria, Narsete non riuscì a soffocare tutte le sacche di resistenza nel nord Italia, mentre a sud resisteva la fortezza di Compsa (attuale Conza della Campania). Inoltre Narsete non poteva contare sull’arrivo di rinforzi da Costantinopoli per cui dovette riorganizzare le sue forze e tentò di arginare l’invasione alemanno-franca schierando i suoi soldati sul Po. L’espediente fallì e le armate di Butilino e Leutari imperversarono fino al Sannio. Nell’estate del 554 Narsete ricompose il suo esercito a Roma e si preparò ad affrontare i due condottieri alemanni. Narsete riuscì a stringere accordi con diversi capi e comandati militari di stirpi germanica, minando quindi la coesione della resistenza Gota. A questo punto accadde qualcosa di poco chiaro: l’armata di Butilino e Leutari si separò; il primo raggiunse lo stretto di Messina e il secondo raggiunse Otranto, saccheggiando e devastando sopratutto luoghi sacri e senza incontrare alcuna resistenza. I motivi della separazione non sono ben chiari, probabilmente tra i due sorsero dei dissidi e quasi certamente avevano visioni contrastanti sul futuro della spedizione. Questa scelta fu la loro rovina, in quanto Leutari venne intercettato dalle forze di Narsete e sconfitto presso Pesaro, mentre Butilino si accampò a Capua con l’intenzione di sconfiggere Narsete e riuscire a conquistare ciò che rimaneva dell’Italia. I numeri effettivi degli eserciti sono da prendere con le dovute cautele, sappiamo per certo che Narsete era in inferiorità numerica, benchè la sua armata fosse composta da veterani e numerosi guerrieri di origine germanica. Le due armate si scontrarono presso il Volturno nel 554 e le armate di Butilino vennero completamente annientate.

L’avventura di Butilino e Leutari non aveva nessuna base politica, se non la forza delle armi. Per i pochi nobili goti rimasti al comando delle macerie del regno, qualsiasi aiuto era ben accetto, ma di fatto, per quanto coraggiosa la resistenza gota, essa si trovò totalmente acefala. Nel 555 dopo un eroica resistenza, Compsa cadeva nelle mani delle truppe germaniche di Narsete che, sconfitta la guarnigione gota, vi insediarono un contingente armato composto prevalentemente da armati di cultura germanica: il comandate di queste truppe era, molto probabilmente, Zottone.

Nel Novembre del 562 la resistenza armata ai bizantini era completamente soppressa. Narsete riuscì a conquistare le ultime fortezze gote e scacciare definitivamente i rimasugli dell’invasione Franca, ma le condizioni in cui versava l’Italia erano disastrose. Di fatto molti territori si erano completamente spopolati: campagne e città erano state spolpate dai continui saccheggi, difendere questi territori e controllarli con le truppe dell’Impero era praticamente impossibile. L’impresa di restaurazione di Giustiniano si concluse con un successo militare, ma non politico, visto che decretò definitivamente la fine di un era. Se da un lato la conquista territoriale ebbe successo, dall’altro essa prosciugò completamente le casse dell’impero, inoltre era estremamente complicato per i bizantini continuare a controllare i territori recentemente conquistati. Come se non bastasse, Giustiniano ebbe anche la pretesa che a pagare quegli anni di guerra fossero proprio i territori “liberati”. Inoltre la restaurazione dell’aristocrazia romana nei territori d’Italia produsse una terribile instabilità sociale e politica, poiché gli aristocratici si rifiutavano di pagare le esorbitanti tasse imposte da Costantinopoli. Narsete si trovò a governare una regione spossata e impoverita, senza trovare neanche l’appoggio della classe dirigente che pretendeva una piena autonomia e che quassi rimpiangeva “i barbari” in quanto quest’ultimi, dal punto di vista della riscossione dei tributi, si accontentavano di un terzo delle rendite, contro oltre il 50% preteso dai bizantini. Non potendo contare sulle truppe imperiali, che in quegli anni vennero concentrate sul confine balcanico, dove premevano Bulgari, Avari e Slavi, il vecchio generale affidò di nuovo la difesa dei territori (specialmente al sud Italia) a contingenti armati composti da elementi di cultura germanica.

Questi gruppi erano formati da guerrieri appartenenti a stirpi diverse, spesso in conflitto tra di loro, che prestavano servizio per l’Impero in quanto federati5. Nel caso delle milizie presenti a sud non possiamo parlare di interi popoli stanziati secondo l’istituzione della hospitalitas6 romana, ma di veri e propri nuclei armati di guerrieri. Privi di seguito sociale esse agivano come guarnigioni e controllavano il territorio svolgendo compiti di presidio prettamente militare. Uniti da vincoli che potremmo definire tribali, questi gruppi avevano capi propri che venivano scelti in base al coraggio, all’astuzia e alla capacità di comando, seguendo quelli che erano gli ideali guerrieri delle stirpi germaniche e che si basavano sulla meritocrazia militare. In molti casi si trattava di avventurieri o di comandanti che acquistavano prestigio proprio nelle campagne al soldo dell’Impero, ma di fatto erano staccati dal loro popolo e spesso perdevano anche i rapporti con esso, mantenendo il contatto con la loro cultura di origine solo tra la ristretta cerchia dei propri sottoposti. L’elemento di coesione di tali gruppi, oltre alla leadership dei singoli capi, era la comune origine germanica rafforzata dall’identità religiosa (pagana o più spesso ariana7).

Anche la lingua poteva essere un vettore di rafforzamento che andava a costituire una sorta di solidarietà guerriera tra li contingenti. Noi non sappiamo effettivamente se ci fossero contatti stretti tra i vari gruppi militari che furono stanziati nel sud Italia dopo la sconfitta di Leutari e Butilino, ma è lecito ritenere che avessero dei canali di comunicazione tra le varie guarnigioni.

Un’ultima ma importantissima analisi va fatta sulla effettiva “identità” di Zottone: non sappiamo se questo condottiero fosse effettivamente un longobardo. Nei gruppi guerrieri germanici vigevano comunque le stesse regole sociali delle grandi stirpi, ossia gruppi più forti riuscivano a subordinare gruppi o elementi più deboli. Sappiamo però che la presenza Longobarda negli eserciti bizantini, e in particolare nel sud Italia, è attestata anche con molta frequenza da più fonti e che gli stessi Longobardi presero parte alle fasi culminanti della guerra Greco Gotica8. Molto probabilmente i guerrieri di questa stirpe riuscirono ad imporsi come elemento dominante anche all’interno di queste milizie, essendo probabilmente i più numerosi e belligeranti, per cui è altresì ipotizzabile che Zottone, che rivestiva un ruolo di comando nell’esercito imperiale, essendo appunto un Dux, fosse appartenente alla stirpe dei Longobardi.

Questi gruppi guerrieri non erano fedeli a nessuno se non a se stessi ed ai propri comandati, tanto è vero che secondo le numerose teorie sulla nascita del Ducato di Benevento, Zottone non si schierò subito e apertamente con la propria gente, ma attese che il dominio Romano fosse al collasso per avere in tal modo la possibilità non solo di ribellarsi ma anche di conquistare quei territori che egli stesso controllava precedentemente per ordine di Bisanzio.

La figura di Zottone, insieme al “mistero” della formazione del Ducato longobardo di Benevento è del resto una questione considerata da tutti gli storici estremamente interessante e al tempo stesso nebulosa per via della mancanza di prove certe. La prima seria analisi venne condotta nel 1871 da Ferdinando Hirsch nella sua opera intitolata appunto “Il Ducato di Benevento sino alla caduta del regno longobardo”, tradotta in italiano da Michelangelo Schipa già nel 1890, che ha costituito il punto di partenza per le indagini e gli studi successivi9. Nella sua analisi10 Hirsch dava per scontato che Zottone facesse parte delle orde guidate da Alboino che penetrarono in Italia dall’attuale Friuli nel 568 e che se ne fosse staccato intorno al 570 in seguito alla discesa verso la Tuscia, raccontata anche da Paolo Diacono nella Historia Langorbardorum11, fonte che si limita a certificare soltanto che il primo duca di Benevento fu appunto Zottone ma che tace sulla natura della sua fondazione. Mentre infatti la fondazione del ducato di Cividale viene raccontata da Paolo Diacono mettendo in risalto che Gisulfo12 sceglie le Fare che si andranno ad insediare nella parte fortificata del borgo, nulla viene detto sulle modalità di insediamento dei longobardi in quella che gli storici coevi definiscono la città fortezza di Benevento13. In particolare, collocando la nascita del Ducato tra il 570 e il 571, la conquista della città deve essere avvenuta due anni prima della caduta di Pavia per cui ne consegue che in ogni caso i longobardi guidati da Zottone che fondarono il Ducato a Benevento costituivano un gruppo di armati diverso e separato dall’esercito di Alboino che invece negli stessi anni era impegnato a realizzare il lungo assedio di Ticinum (antico nome di Pavia). Appariva chiaro anche allo stesso Hirsch che Alboino non avesse avuto parte in nessun modo alla fondazione del Ducato beneventano14, per cui negli anni si è cercato di indagare, pur nella scarsezza di fonti, la reale composizione del gruppo di armati autori della nascita del Ducato meridionale.

I longobardi che si insediano a Benevento, infatti, non sembrano essere un gruppo sociale complesso come nel caso di Cividale e dei ducati settentrionali, ma assomigliano più ad una sorta di gruppo prettamente militare che si dedica più al saccheggio dei territori che all’insediamento permanente in essi. Le notizie delle notevoli devastazioni e del conseguente abbandono delle sedi vescovili che ci giungono mediante i resoconti dei Papi del periodo ci disegnano orde di guerrieri alla ricerca di ricchezze facilmente trasportabili che non somigliano per nulla alle organizzatissime Fare che costituivano l’essenza della nazione longobarda15. Per questo motivo recentemente l’ipotesi che Zottone facesse parte originariamente dell’esercito di Alboino disceso in Italia nel 568 e che se ne fosse distaccato durante la discesa verso la Tuscia viene sostanzialmente respinta dagli storici a vantaggio di un’ipotesi che definisce il gruppo armato guidato da Zottone come una parte residuale di contingenti di cultura germanica coinvolti nelle vicende finali della guerra greco-gotica e stanziati nel sud Italia ed in particolare in Campania con scopi di controllo del territorio con il consenso se non addirittura sotto il controllo dell’imperatore di Bisanzio16. Già negli anni ’50 il grande storico ed archeologo Gian Pietro Bognetti, in diverse pubblicazioni, sosteneva l’ipotesi di una ribellione da parte di un contingente di cultura germanica, di cui i longobardi dovevano essere la maggioranza, che aveva compiti di controllo del territorio meridionale per conto di Bisanzio. La scelta di insediarsi a Benevento sarebbe scaturita dalla posizione strategica della città, al centro di un reticolato di strade ancora in funzione e a ridosso della dorsale appenninica. A questo proposito il professore Marcello Rotili, uno dei massimi esperti viventi sui longobardi meridionali, sostiene che “la formazione del Ducato di Benevento ad opera di Zottone potrebbe essere ricondotta alle medesime circostanze politiche da cui trasse origine il Ducato di Spoleto17”, ovvero alle esigenze da parte di Bisanzio di servirsi di contingenti di gruppi armati di cultura germanica per riorganizzare strutture politico-militari che potessero limitare la conquista longobarda dell’Italia e salvaguardare le riconquiste bizantine realizzate con la guerra greco-gotica. In particolare la fondazione del Ducato da parte di Zottone, secondo Rotili, andrebbe connessa agli episodi del 576, quando si registra la sconfitta militare di Baduario, il curopalate a cui era stato affidato il tentativo di riconquista bizantina dell’Italia all’indomani dell’assassinio di Clefi, il successore di Alboino, nel 574, a cui seguono dieci anni di anarchia ducale. La sconfitta di Baduario, secondo Rotili, avrebbe potuto determinare “l’origine del Ducato meridionale inducendo a schierarsi contro l’Impero i più antichi nuclei di longobardi stanziati nel beneventano circa venti anni prima18”. In quest’ottica, secondo Rotili, la data del 570 sarebbe frutto di un aggiustamento cronologico e invece la data di effettiva “operatività” del Ducato andrebbe posticipata al 576, data che costituisce una sorta di spartiacque, visto che proprio a partire da quest’anno le cronache iniziano a registrare la minacciosa presenza di eserciti dalle lunghe barbe nel meridione d’Italia19. Il biografo di Papa Benedetto, infatti, a partire dal 576, inizia a rilevare che la presenza longobarda nel Centro-sud era venuta a costituire un aspetto preoccupante della situazione politico-militare; la pressione esercitata su Roma dagli invasori germanici avrebbe del resto impedito che nel 579 pervenisse la rituale conferma imperiale per l’incoronazione di Papa Pelagio, successore di Benedetto. Sempre secondo Rotili “nel ducato di Benevento, più che Fare agiscono contingenti limitati e specialistici cioè nuclei di militari privi del supporto della gens e pronti all’integrazione con l’elemento indigeno, cioè strutture aggregative del tipo del comitatus, un contingente di guerrieri caratterizzato da un profondo senso comunitario che segue temporaneamente un capo ma può divenire una struttura stabile: tali (…) nuclei di longobardi (…) essendo privi del supporto della gens non ebbero la consistenza numerica e politica per attuare almeno nell’immediato un disegno organico di occupazione e insediamento né furono in grado di sottrarsi ai condizionamenti dell’ambiente di cultura tardoantica-mediterranea e alla continua trattativa coi bizantini dai quali spesso cercarono di strappare accordi vantaggiosi20. Zottone potrebbe essere stato insignito del titolo di dux proprio dalla gerarchia militare tardo-romana per le specifiche funzioni di capo dei federati di Bisanzio, egli non fu un duca in senso territoriale e probabilmente non ebbe il pieno controllo delle bande che dopo il 576 e ancor più dopo il 590, allorché si concluse senza esito il secondo tentativo di conquista bizantino, si impadronirono, ormai sotto la guida di Arechi I, di buona parte del mezzogiorno continentale21”. Purtroppo rispetto alla missione di Baduario abbiamo pochissime fonti, anzi una sola: il generale bizantino incaricato di eliminare i longobardi dall’Italia viene nominato solo nella Cronaca di Giovanni di Biclaro, dove si afferma che “nell’anno decimo dell’Imperatore Giustino (quindi nel 576) il genero dell’imperatore Giustino, Baduario, venne sconfitto in Italia dai longobardi e dopo poco tempo lì arrivò la fine dei suoi giorni”.

A tal proposito occorre sottolineare che il titolo di Dux nell’esercito bizantino era inteso come comandante supremo delle truppe stanziate in territori di frontiera22, come erano appunto i territori del Sud Italia alla fine della guerra greco-gotica.

Per quanto riguarda la data di nascita del Ducato di Benevento e quindi l’elezione di Zotto a primo Duca della città, come detto, ci sono diverse versioni, nessuna delle quali può essere considerata certa: ad esempio nella Cronica Sancti Benedicti si sosteneva che tra l’incoronazione di Zottone e quella di Sicone erano trascorsi 272 anni, per cui la nascita del Ducato andrebbe anticipata al 559 o addirittura al 551 come sostenuto nella versione della Cronica contenuta nel Monumenta Germaniae Historia (MGH), cioè in un periodo in cui erano ancora fumanti le macerie della guerra greco-gotica. La stessa Cronica, poi, in un altro passaggio afferma invece che dal primo Duca di Benevento alla temporanea conquista bizantina della città per opera del generale Simbatizio (avvenuta nell’891) erano passati 330 anni, per cui Zottone sarebbe stato eletto nel 561. In altre fonti le date sono diverse: nella Cronica dei Duchi di Benevento e di Salerno, sempre contenuta nella MGH, si afferma invece che nell’anno 583 “in Benevento primus dux factus est Zotto”; altrove, come ad esempio negli Annales Cavenses (anch’essi contenuti nella MGH), viene indicato il 570 come anno di fondazione del Ducato. Ad ogni modo la maggior parte delle fonti, ed in particolare Paolo Diacono, afferma che Zottone governò 20 anni, per cui, dando per certo il 591 l’anno di elezione di Arechi I come suo successore (o al massimo 592), ne consegue che l’anno più prossimo alla vero insediamento di Zottone come duca di Benevento dovrebbe essere il 571, con possibilità di variazione di qualche mese, per cui oggi la maggioranza degli storici afferma con relativa certezza che Zottone dovrebbe essere stato eletto Duca di Benevento tra il 570 e il 572.

Confrontando le varie fonti, infatti, il 571 appare essere l’anno più veritiero, come riconosciuto già da Stefano Borgia, Rettore pontificio di Benevento che nel 1763 scrisse le famose “Memorie Istoriche della Pontificia città di Benevento”, che sono considerate ancora oggi una pietra miliare per tutti gli storici locali. Il Borgia infatti afferma che “Quando seguisse la fondazione del Ducato di Benevento non è così agevole il risaperlo dalla Storia dei Longobardi. Chi lo vuole fondato nei primi sette anni dopo la venuta di questi in Italia; altri nell’interregno di dieci anni dopo l’uccisione di Clefi secondo Re longobardo in Italia, nel qual tempo la nazione fu governata da trentasei duchi. Noi senza obbligarci ad ulteriore disamina di questo punto di cronologia con la comune degli scrittori ne fissiamo la prima epoca all’anno 571, nel quale Zottone ne fu costituito primo Duca”.

Anche secondo Stefano Gasparri, uno dei massimi esperti di Storia Longobarda in Italia, l’inizio della dominazione longobarda nel meridione non sembra avvenire mediante l’insediamento delle fare ma piuttosto con il coinvolgimento di singoli comitati, ovvero gruppi di armati legati a un capo militare, sprovvisti di seguito sociale, i quali, essendo esigui di numero, non tarderanno a mescolarsi con le popolazioni locali, andando a snazionalizzare i longobardi meridionali, facilitando in tal modo una notevole indipendenza del Ducato, soprattutto nel ventennale regno di Zottone, quando appunto i longobardi di Benevento appaiono completamente slegati dal regno del nord (come dimostrato dall’assenza del Duca di Benevento dalla nomina del Re dopo il decennio di anarchia ducale.

Per fare chiarezza sull’argomento, occorre definire il contesto entro il quale nasce il Ducato longobardo di Benevento e quali sono i soggetti coinvolti nella questione. Innanzitutto dobbiamo sottolineare lo stato di crisi generale che attanagliava il Sud Italia: il perdurare della guerra greco-gotica e la conseguente presenza duratura di gruppi armati aveva determinato una profonda instabilità politica ed una decrescita demografica certificate dalla scomparsa o dall’abbandono parziale di moltissimi agglomerati urbani, con la fortificazione dei centri strategici, come nel caso appunto di Benevento, considerata come detto città fortezza e contesa dai due eserciti in campo (per cui Totila ne avrebbe fatto abbattere le mura).

Come sappiamo da Costantino Porfirogenito un contingente di longobardi aveva combattuto al fianco dei bizantini sia a Tadina, oggi Gualdo Tadino in Umbria (nel 552), sia sul Vesuvio (nel 553) durante le fasi conclusive della guerra contro i Goti, risultando determinanti. Si tratta probabilmente dello stesso gruppo di guerrieri longobardi che Procopio di Cesarea definisce indisciplinati, violenti e dai costumi indegni, e che Narsete avrebbe poi espulso dall’esercito bizantino, ma che fino a quel momento potrebbero essere stati alloggiati nel centro fortificato di Compsa (Conza della Campania), altro punto strategico insieme a Benevento23, che come viene descritto da Procopio di Cesarea nel De Bello Gothico, fu l’ultimo avamposto dei Goti, che venne conquistato dopo la vittoria bizantina nella battaglia dei Monti Lattari, per cui è molto probabile che questo avamposto fosse rimasto presidiato da contingenti di cultura germanica al servizio dell’impero bizantino, come già detto.

Ma i longobardi non dovevano essere gli unici armati di cultura germanica presenti nel meridione in quel periodo: innanzitutto dobbiamo registrare la permanenza dei Goti arresisi a Bisanzio e oltre a loro dovevano essere insediati altri elementi germanici coinvolti nel lungo conflitto e poi usati dai bizantini per pacificare e controllare le recenti conquiste. Non mancavano nemmeno gruppi armati di cultura tardo-antica, composti da classi subalterne che si dedicavano al banditismo, come i briganti che nel 527 ostacolavano lo svolgimento della fiera di Marcellianum nel Vallo di Diano e che costituivano un elemento di instabilità per il governo goto costringendo Atalarico ad un intervento repressivo del fenomeno24.

Il quadro generale dell’Italia meridionale nel 570 appare quindi catastrofico, a partire dalla totale mancanza di una qualsivoglia forma di organizzazione politico-amministrativa e di un tentativo di governo organico dei territori, a cui si accompagna un drastico crollo demografico e la scomparsa o la riduzione dei nuclei urbani, con l’eccezione di pochi centri che si erano fortemente militarizzati, un quadro reso instabile dalla presenza di insediamenti temporanei o duraturi di gruppi armati di cultura germanica che si disseminavano nel meridione e che costituivano gli ultimi elementi residuali delle truppe coinvolte nelle guerre greco-gotiche.

In questo contesto l’invasione dei longobardi guidati da Alboino, a cui si sono aggiunti come sappiamo Sassoni, Gepidi, Bulgari, Sarmati, Pannòni, Slavi, Norici e altri popoli germanici25, e tra i quali dovevano esservi non pochi rampolli dell’aristocrazia militare longobarda che si era formata in seguito alle vittorie realizzate prima dell’invasione dell’Italia, determina un acuirsi dell’instabilità politica e potrebbe aver spinto i gruppi armati insediati nel meridione, a cui non è da escludersi che si siano aggiunti elementi separatisi dall’esercito di Alboino dopo l’invasione della Tuscia, a diventare soggetti attivi della ricomposizione politica del territorio, o per propria iniziativa o per iniziativa di Bisanzio.

La scelta di insediarsi a Benevento da parte di questi elementi armati guidati da Zottone non deve sembrare casuale: sappiamo da Procopio che era una città fortezza di importanza strategica, tanto da ospitare un presidio bizantino di fondamentale importanza, e, come suggerisce Rotili, “il suo territorio era attraversato da strade rimaste in funzione per gran parte dell’alto medioevo e in età imperiale la città era inoltre sede di un emporium in cui veniva stivata l’annona delle truppe26”, inoltre, situata nell’entroterra, si trovava molto lontano dalle coste e quindi dai possedimenti e dalle minacce bizantine, in una zona dalla quale ripiegare facilmente verso Nord lungo la dorsale appenninica.

Alla luce degli eventi successivi, però, almeno nei primi anni del Ducato, la città di Benevento sembra essere più il quartier generale da cui partono gruppi armati per compiere scorrerie e saccheggi nei territori circostanti che la sede di un governo che ha intenzione di amministrare una vasta regione piegata da decenni di guerre. A partire dal 576, infatti, in un contesto reso ancora più instabile a causa della cosiddetta anarchia ducale, si registrano notizie di assalti e distruzioni dei centri di Aquino, Castel Volturno, più tardi Montecassino, mentre è del 581 la notizia di un lungo assedio longobardo alla ricca città di Napoli27. Per quanto il numero di armati coinvolti in queste operazioni possa essere stato esiguo, occorre sempre ricordare che essi agivano in un contesto di scarsa presenza demografica e di totale assenza di eserciti nemici. Una delle caratteristiche del Ducato beneventano, infatti, è quella di essere il risultato dell’azione di gruppi armati sprovvisti di seguito sociale che agendo in contesti critici e instabili assumono facilmente il controllo prettamente militare di una regione considerata strategica (che coincideva grosso modo con il Sannio Storico) e amministrano i territori servendosi della popolazione autoctona della quale assorbono la religione e la cultura. I longobardi resteranno sempre una parte minoritaria della pur esigua popolazione dell’entroterra meridionale ed anche la componente militare rimarrà a costituire un elemento predominante della società e fungerà da catalizzatore per la rinascita e la ricomposizione interna degli insediamenti urbani.

Conferme in tal senso ci arrivano dal Liber Pontificalis, che raccoglie l’elenco dei Papi in modo cronologico. Riguardo l’elezione di Papa Benedetto I, avvenuta nel 575, il testo ci informa che “a quei tempi i popoli longobardi invasero tutta l’Italia”, conquistando diversi centri fortificati e causando fame e carestia tra gli italiani, per cui, per sfamare gli abitanti di Roma, furono inviate dall’imperatore Giustiniano delle navi cariche di frumento dall’Egitto. Riguardo all’elezione del suo successore, Papa Pelagio II, avvenuta nel novembre 579, il Liber Pontificalis ci informa che tale elezione non ricevette l’assenso imperiale da parte di Bisanzio perchè in quel tempo la città di Roma era “assediata dai longobardi”, i quali devastavano ogni luogo d’Italia. Lo stesso Pelagio, che stando alla cronaca papale era probabilmente figlio di un barbaro (forse un goto), tentò di riallacciare i rapporti con il regno franco, inviando al vescovo di Auxerre, che non poteva raggiungere Roma a causa della minacciosa presenza dei pagani longobardi, diverse reliquie destinate anche al re franco Childeberto II, e auspicando la richiesta da parte del vescovo di un intervento militare dei Franchi contro i Longobardi. Nel 584, con una lettera indirizzata al bizantino Gregorio, apocrisario (ovvero ambasciatore), denunciava come i longobardi avessero “violato i loro giuramenti”, avendo posto fine all’anarchia ducale e come, con la nomina di un nuovo re “nazionale”, fossero tornati ad essere una minaccia costante, contro la quale il patrizio Decio (massimo rappresentante dell’Impero bizantino in Italia) era impossibilitato ad agire (per sua stessa ammissione), per cui il Papa incaricò Gregorio di chiedere all’imperatore Maurizio l’invio di un «magister militum» e di un «dux» per la regione di Roma.

Incapaci di contrastare i longobardi, i bizantini avviano con l’esarca Smaragdo (subentrato a Decio nel 585) una politica di distensione, riuscendo a concludere con Autari una tregua triennale, che consentono al papa Pelagio II di dedicarsi alla risoluzione dello scisma dei “tre capitoli”, di cui parla abbondantemente anche Paolo Diacono, e che aveva fatto separare la diocesi di Aquileia dalla chiesa di Roma. I suoi tentativi falliscono e alla fine il papa invita l’esarca ad un intervento militare, mai verificatosi, per cui al termine del suo papato lo scisma continua ad esistere.

Infine, sempre dal Liber Pontificalis veniamo a sapere che nel 589 l’Italia è attraversata da violente inondazioni e dalla diffusione di una epidemia che miete molte vittime, tra cui lo stesso pontefice.

Altre notizie significative ci arrivano dalla Prosopografia del Tardo Impero Romano (PLRE), la quale racconta di una delegazione romana, capeggiata da Pamfronio, probabilmente all’epoca caput senatus (dato che era uno dei personaggi più importanti dei romani d’occidente, a cui Giustiniano indirizza la costituzione imperiale del 555 riguardante l’Italia appena riconquistata), che si recò dall’imperatore Tiberio II nel 578/579 per chiedere a gran voce l’invio di truppe per contrastare i longobardi che stavano appunto assediando la città eterna. Per convincerlo, Pamfronio gli dona 3000 lire d’oro, come regalo da parte del senato romano per la sua recente incoronazione come Augusto (578). Tiberio II Costantino, essendo impegnato in una difficile guerra con i Persiani, restituisce le 3000 libre e suggerisce a Pamfronio di utilizzarle per corrompere i duchi longobardi o per pagare i franchi in funzione anti-longobarda.

Menandro Protettore, uno storico bizantino la cui opera ci è arrivata solo in frammenti, sostiene infine che nel 580 fu inviata una nuova ambasceria romana a Costantinopoli e questa volta l’imperatore si convinse ad inviare un esercito che però non ebbe alcun effetto di argine sulle conquiste longobarde.

Non è da escludere che questo esercito avesse il compito di insediarsi nei punti considerati non cedibili ai longobardi, anche alla luce del fatto che, come ci informa lo storico , autore di una Descrizione del mondo romano, proprio nel 580 Tiberio II emana un nuovo ordinamento dell’Italia, istituendo 5 eparchie, che forse rispondevano alle mutate esigenze di difesa e presidio militare maturate nel decennio di conquista longobarda. Tali eparchie erano: l’Annonaria (i territori del nord ancora non conquistati dai longobardi), l’Emilia (la parte centro-orientale della penisola), l’Urbicaria (la parte centro-occidentale), la Campania (comprendente anche il Molise e parte della Puglia), la Calabria (la parte meridionale della penisola, corrispondente a Puglia, Lucania e attuale Calabria). Per tale motivo è lecito supporre che tale esercito non si sia lanciato contro i longobardi ma si sia invece “spalmato” sul territorio con lo scopo di presidiare le province appena ridisegnate.

Possiamo quindi ritenere la nascita del Ducato di Benevento come un episodio connesso ma non collegato direttamente all’invasione di Alboino e soprattutto possiamo affermare che il governo del ducato fu da subito del tutto autonomo rispetto alla capitale Pavia anche alla luce della decennale anarchia ducale che segue alla morte di Clefi, che favorisce appunto l’autonomia se non addirittura la nascita del Ducato longobardo di Benevento. Il periodo più oscuro, infatti, rimane quello tra il 570 e il 576, quando le cronache papali tacciono e nessuna notizia si ha sulla situazione politica del meridione, ufficialmente governato ancora dai bizantini, per cui non è da escludersi che Zottone nel 570 sia stato nominato appunto Duca (titolo che, come già detto, nell’esercito bizantino era inteso come comandante supremo delle truppe stanziate in territori di frontiera), ma che solo dopo il 576, in seguito al fallimento del progetto di riconquista bizantina portato avanti da Baduario, abbia deciso di non servire più la causa imperiale per unirsi alla gens langobardorum, a cui non è necessario che ne appartenesse etnicamente. Di certo l’anarchia ducale costituisce un elemento di accelerazione nella formazione del Ducato longobardo, per cui da questo momento Benevento diventa appunto un centro attivo della ricomposizione politica del Sud Italia smettendo di essere soltanto un avamposto militare dei possedimenti di frontiera dell’impero bizantino.

Se quindi la Langobardia Maior si caratterizza per la molteplicità di insediamenti di Fare longobarde, che col tempo svaniscono a vantaggio di una fusione con i residui della società urbana tardo-antica, il Ducato di Benevento si caratterizza come un’entità politica con una forte componente militare etnicamente non omogenea che però è minoritaria rispetto alla pur esigua popolazione autoctona, con la quale i longobardi devono fare i conti, finendo per accettarne la religione e moltissimi elementi culturali, come del resto evidenziato dai rinvenimenti archeologici, che pur essendo esigui confermano la presenza di elementi militari di chiara cultura germanica, come le armi, che però sono accostati ad elementi femminili di chiara cultura tardo-romana, come ad esempio i gioielli e soprattutto le ceramiche.

Nella speranza di non avervi annoiato vi diamo appuntamento alla seconda puntata.

1 Catena montuosa dell’antiappennino Campano. Secondo la ricostruzione di Procopio di Cesarea, in questa località fu combattuta l’ultima battaglia contro gli Ostrogoti. Procopio , La Guerra Gotica – Libro IV Cap. XXXV.

2 Stirpe mitica dei Goti fondata dal leggendario eroe Amala (potente), preusmibilmente nel I secolo d.c.

3 Narsete (Armenia 478 – Roma 574) generale di origine Armena ed Eunuco. Fu sostituito da Belisario durante l’ultima fase della guerra in Italia. Molto vicino all’Imperatore Giustiniano governò in sua vece l’Italia, per venire poi sostituito dall’Imperatore Giustino II con il quale ebbe numerose dispute. I cronisti dell’ VII secolo imputano proprio a questa discordia la chiamata di Alboino in Italia da parte di Narsete (Paolo Diacono, II,5;Liber Pontificalis, 63;Origo gentis langobardorum,5;Auctari Auniensis Extrema,4). Tuttavia questa ipotesi ad oggi non ha più molti sostenitori e si presume essere stata inventata proprio dai cronisti del VII secolo.

4 Le fonti parlano principalmente di Widin che fu l’ultimo nobile Ostrogoto attestato in Italia. Paolo Diacono, II,2

5 Nell’epoca Tardo Antica i federati erano tutti quei popoli, spesso di origine germanica, che avevano stipulato un accordo militare con l’Impero.

6 Si intende un istituto giuridico attivo nell’Impero Romano specialmente nell’ultima fase. Esso prevedeva che i cittadini fossero tenuti ad alloggiare i soldati sprovvisti di mezzi propri, cedendo loro un terzo della casa; erano però esentati da questo gravoso obbligo il clero, i medici, gli insegnanti, gli armigeri e i pittori.

7 Dottrina cristiana elaborata dal monaco Ario (256-336) che subordinava la natura divini del figlio a quella del padre. Condanna all’eresia dal concilio di Nice (325) essa fu però propagandata dal vescovo ariano e goto Wulfila (311-388), il quale tradusse appositamente la bibbia in lingua gota. Molte popolazioni germaniche si convertirono all’Arianesimo.

8 Procopio, La Guerra Gotica, IV, 26.

9Hirsch F., “Il Ducato di Benevento sino alla caduta del regno longobardo”, traduzione di M.Schipa, Benevento 1989

10Hirsch F., op.cit. pagina 12

11Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, II, 26

12Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, II, 9

13Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, III, 33

14Hirsch F., op.cit. Pagina 12 e seguenti

15Hirsch F., op.cit. Pagina 13 e seguenti

16Si rimanda a Rotili,M. “I Longobardi: migrazioni, etnogenesi, insediamento” in I longobardi del Sud, Roma, 2010

17Rotili, op.cit. VI, 2

18Rotili, op.cit. VI, 2

19Rotili, op.cit. VI, 2

20Rotili, op.cit. VI, 3

21Rotili, op.cit. VI, 4

22Si rimanda a Cascarino-Silvestri, L’esercito romano: armamento e organizzazione, IV l’impero d’oriente e gli ultimi romani, Città di Castello, 2015 e a Imperatore Maurizio, Strategikon, a cura di Cascarino, Città di Castello, 2016

23Rotili, op.cit. VI, 1

24Rotili, op.cit. VI, 3

25Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, II, 26

26Rotili, op.cit. VI, 4

27Hirsch, op.cit. Pag 13 e seguenti; Rotili, op.cit. IV